All’Istituto tecnico superiore (Its) si accede dopo una selezione in cui l’aspetto motivazionale è determinante. Per iscriversi è necessario avere un qualunque diploma di scuola superiore di cinque anni, un diploma di formazione professionale di quattro con anno integrativo, oppure, dal prossimo anno, direttamente attraverso l’iscrizione all’annunciato 4+2, con cui gli Its divengono parte integrante del percorso scolastico. L’iscrizione costa 200 euro.
I percorsi hanno una durata biennale o triennale (4/6 semestri – per un totale di 1800/2000 ore). Lo stage è obbligatorio per il 30% delle ore complessive e almeno il 50% dei docenti proviene dal mondo del lavoro. L’esperienza lavorativa in azienda può essere svolta con contratto di apprendistato di alta formazione e di ricerca.
I percorsi si concludono con verifiche finali, condotte da commissioni d’esame costituite da rappresentanti della scuola, dell’università, della formazione professionale ed esperti del mondo del lavoro.
Il diploma Its in ambito Ue equivale al quinto livello delle qualifiche europee (Eqf 5).
A giugno 2023 gli Its in Italia erano 146, con mille percorsi attivi. Gli iscritti erano quasi 26 mila. Un po’ meno della metà dei 3mila 564 soggetti partner erano imprese.
In Emilia-Romagna attivati 56 corsi
In Emilia-Romagna i corsi Its sono raggruppati in sette aree (Turismo e benessere, Logistica mobilità e green. Meccatronica meccanica automotive, Agroalimentare tecnologico, Software e informatica marketing, Biomedicale, Edilizia e energie rinnovabili) e sono gestiti da sette fondazioni miste pubblico-privato. I corsi attivi sono 56 presenti in 14 città.
Il 40% del monte ore dei corsi è dedicato allo stage in azienda.
Oltre al metodo di insegnamento laboratoriale, caratteristiche trasversali a tutte le aree e tutti i corsi sono le nuove tecnologie e la sostenibilità.
Obiettivo degli Its è «formare tecnici superiori in grado di inserirsi nei settori strategici del sistema economico-produttivo e di portare nelle imprese competenze altamente specialistiche e capacità d’innovazione». Piazzarsi lì nel mezzo, tra la disoccupazione giovanile e le aziende che non trovano le competenze necessarie, cercando di risolvere il mismatch tra domanda e offerta di lavoro.
Attraverso il Pnrr allo sviluppo del sistema Its sono stati destinati 1,5 miliardi di investimenti per il triennio 2024-26. Di questi, 500 milioni per la realizzazione di laboratori e sedi (tra cui la ristrutturazione dell’ex Zoo acquario di Imola) e 700 milioni per lo sviluppo di attività formativa, borse di studio, internazionalizzazione. Cifre consistenti che dovranno servire a far decollare, finalmente, gli Its.
Guadenzio Garavini è il presidente di una delle sette fondazioni presenti in Emilia-Romagna, la Fitstic, che opera per l’area della tecnologia dell’informazione e della comunicazione.
La domanda è: ma perché mio figlio, che si è appena diplomato, dovrebbe iscriversi ad un Its?
Innanzitutto precisiamo che sì, parliamo a un ragazzo o a una ragazza neo-diplomato/a, ma che ci rivolgiamo anche a tutti quei giovani che vedono come possibile un cambio di rotta, un ritorno agli studi da un percorso universitario insoddisfacente o che non sta portando da nessuna parte. E visto il livello di abbandoni, i numeri del drop-out che abbiamo nelle università italiane, non è una fetta piccola di potenziali iscritti. Ecco, gli Its rappresentano un’occasione importante anche per quel tipo di target.
Sì, ma perché gli Its?
La prima ragione è molto semplice: si tratta di una formazione tecnologica fatta in modo operativo, si impara facendo le cose (learning by doing). È un apprendimento che parte dal fare. Che non vuol dire trascurare gli aspetti concettuali, bensì arrivare alle conoscenze teoriche sulla base dell’esperienza costruita praticando. Si tratta di una metodologia didattica strutturata, ma le cui basi poggiano sui solidi insegnamenti di don Bosco. Solo facendo riesci a mobilitare in contemporanea la mente, il cuore, l’anima. E quindi ti senti dentro al processo di apprendimento. Agli studenti dico di pensare non solo a cosa fare dopo il diploma, ma anche a come vogliono studiare.
Questo è il metodo di insegnamento adottato negli Its. Ma in quale modo viene svolto?
Con una presenza molto consistente di stage (800 ore su 2mila complessive), di project work e di attività laboratoriale, che assieme rappresentano il 70% del totale dell’offerta didattica complessiva. E anche la parte più teorica, diciamo così, viene fatta con esperti che vengono dal mondo dell’impresa. Non dimentichiamo che la nostra fondazione ha 100 soci, di cui più di 70 sono aziende. Perché puoi spiegare quanto vuoi come funziona un’impresa, ma se non ci sei dentro non la vedi!
Una critica che viene rivolta all’istruzione tecnica è che curvare troppo la formazione sull’impresa ha l’effetto di orientare troppo all’oggi, trascurando il più generale sviluppo della persona.
I nostri soci fondatori sono i Salesiani di Bologna, quindi sostenere che la formazione degli Its non è legata allo sviluppo della persona mi sembra proprio fuori centro.
Sono convinto, e l’ho sperimentato, che la formazione e l’esperienza in un contesto organizzativo siano un apprendimento importantissimo, un modo di primario valore per sviluppare la persona nel suo complesso.
Una percentuale prossima al 90% dei diplomati in un Its trova lavoro ad un anno dal diploma. Nel 99% dei casi si tratta di un’occupazione coerente col proprio percorso di studi. È una motivazione pragmatica e convincente, ma nelle condizioni in cui si trova e verso cui si sta muovendo sempre più il mercato del lavoro rischia di non essere più un argomento efficace. Anche a causa dell’inverno demografico, l’offerta di lavoro supera la domanda, tanto che, raccontano le imprese, le parti si sono ribaltate: oggi sono i ragazzi che ai colloqui chiedono cosa l’azienda può offrire loro.
Questo è vero ma solo per alcune tipologie di competenze, mentre non è vero in generale. Abbiamo ancora significative percentuali di ragazzi, e soprattutto di ragazze, che seguono percorsi scolastici che portano forme di competenze deboli per l’accesso al mondo del lavoro. I diplomati tecnici sono molto richiesti, a volte prima ancora del diploma, mentre per altri percorsi di studio non è così. Noi ci occupiamo di fornire istruzione tecnica, però, lo sottolineo, proprio per la metodologia che ci caratterizza ci rivolgiamo soprattutto ai cosiddetti diplomi deboli.
Peraltro questo metodo didattico mette nelle condizioni, anche grazie ad una fase iniziale che noi chiamiamo di allineamento, di portare tutti gli iscritti più o meno sullo stesso livello. Per questo chiediamo che chi si iscrive sia diplomato, non importa con quale diploma.
E non dimentichiamo che è la motivazione l’elemento fondamentale nel percorso di acquisizione delle competenze. L’esperienza ci ha confermato come persone che vengono da percorsi più deboli spesso sono più motivati di chi pensa di sapere già molto.
Però per convincere un ragazzo ad impegnare altri due anni della sua vita in un percorso non universitario, ecco.. bisogna spiegarglielo.
Certamente. Dobbiamo cercare di fargli capire che anche se il lavoro c’è, non tutti gli ingressi nel mondo del lavoro sono uguali: un conto è entrare col diploma da perito, altra cosa scegliere un’occupazione dopo che hai fatto un percorso specialistico qualificante. La prospettiva di vita può risultare anche significativamente differente.
La flessibilità è uno dei caratteri più innovativi degli Its: adattare rapidamente l’offerta formativa alle sempre mutevoli richieste di formazione che arrivano dal mercato del lavoro.
Per questa ragione ogni anno viene una nuova programmazione svolta in rapporto con le imprese associate, per cercare di capire cosa cambia per quella professione e come si evolve un settore.
Oggi pensiamo che l’informatica sia uno degli elementi di base dell’innovazione, ma uno dei più grandi cambiamenti è proprio dentro l’informatica. Se ci riflettiamo, la dimensione dell’intelligenza artificiale sta cambiando profondamente anche i connotati delle figure tipiche dell’informatica. Si pensi solo al programmatore.. La Regione lavora molto su questi aspetti, su questi cambiamenti. Grazie allo sviluppo di un progetto come il Tecnopolo, abbiamo a disposizione una grande risorsa: un panel di macchine e di cervelli che ti aiutano a capire dove devi andare.
E dove dobbiamo andare?
La molla fondamentale di evoluzione dell’intelligenza delle macchine sono i big data. Più questa massa di dati si incrementa e più pone nelle condizioni gli algoritmi di dare risposte sempre più generative. Poi c’è la sicurezza, perché più si sviluppano queste applicazioni e si diffondono dentro le aziende e più sono esposte al rischio di essere manipolate e violate. Con degli impatti e dei danni che possono essere notevoli.
Il lavoro nelle aziende è cambiato molto. Oggi è molto diverso da quell’idea che è radicata nelle famiglie per cui “in fabbrica” (sic!) si va per eseguire dei compiti, spesso ripetitivi, alienanti, tutt’altro che creativi.
Quando parliamo di innovazione e digitalizzazione possiamo dire che il lavoro è cambiato non molto, moltissimo. Ho una certa età e ho iniziato il mio percorso come sindacalista. Per cui le aziende metalmeccaniche ricordo bene com’erano. Oggi è tutta un’altra cosa.
E in queste nuove condizioni essere dentro ad un contesto organizzativo, si tratti di un ufficio o di un reparto di produzione, rappresenta un elemento importante e stimolante per la crescita delle persone. E questo, per chiudere il cerchio, è un’ulteriore conferma della giustezza del nostro metodo di formazione.
Se dovesse suggerire alle imprese come rapportarsi con gli enti di formazione quali sono gli Its, in un contesto sempre più eterogeneo e in movimento come quello attuale, cosa direbbe loro?
Alle imprese che si lamentano, giustamente, di questo mismatch tra domanda e offerta di lavoro, della difficoltà che hanno a trovare competenze adeguate, chiedo sempre: voi cosa state facendo? Perché non sta scritto da nessuna parte che a dover fare qualcosa per risolvere i problemi debbano essere sempre gli altri. Primo elemento: i salari di ingresso non è che siano tutta questa bazza. Secondo, una domanda: voi cosa fate per mettervi a disposizione e aiutare la formazione?
Ed è proprio chiedendo “cosa fate voi?” che in tre anni, da quando sono presidente della Fondazione Fitstic, siamo passati da una trentina di soci a un centinaio. Sono proprio i nostri soci le prime aziende a cui ci rivolgiamo per reperire gli esperti da impegnare come docenti e per mandare i ragazzi a fare lo stage.
Se alle aziende parli in questo modo intanto le fai sentire protagoniste. Ed questa è la grande novità rispetto a come si faceva formazione qualche anno fa.
La formazione professionale deve essere consapevole che è entrata in un ecosistema territoriale per cui non è più come una volta, quando il pubblico finanziava, l’ente privato realizzava la formazione e l’azienda era il supporto strumentale per le assunzioni. Adesso, e l’esperienza dell’Its lo dimostra, l’impresa fa parte dell’ecosistema territoriale formativo. Non c’è più il primato di chi programma, finanzia e realizza. C’è una complessità più larga, in cui le aziende entrano a pieno titolo, non sono più un soggetto residuale, ed è giusto che sia così.
Sul versante delle imprese, quando si parla di queste cose vedo sempre un grande interesse. Vedo una maggiore difficoltà a far capire questo cambiamento di prospettiva ai ragazzi e soprattutto alle famiglie, che a quell’età determinano ancora molto le scelte dei ragazzi.
Problema di orientamento, quindi, e questo nonostante gli sforzi fatti in questi anni.
In Italia l’orientamento scolastico è un processo ancora poco sviluppato. Fondamentalmente si concentra tutto negli ultimi mesi dell’ultimo anno, quando i ragazzi o hanno già scelto o hanno la testa in altre cose come l’esame. Mentre occorrerebbe lavorare già almeno dal terzo anno, poter fare cicli di orientamento non solo sulla base del volontariato dei docenti disponibili. Sono state introdotte le 30 ore di orientamento obbligatorio al quarto e quinto anno, ed è già un elemento positivo, ma occorre fare di più.
Nell’orizzonte degli Its c’è una questione, diciamo così, di genere, cioè superare la convinzione ancora diffusa che ci siano scuole, percorsi scolastici e formativi più adatti ai ragazzi e altri più adatti alle ragazze, con questi ultimi che spesso risultano più deboli dal punto di vista delle opportunità di occupazione. Poi però c’è anche un’opportunità ancora poco utilizzata di cambiare percorso, di rientrare nel mercato del lavoro o di correggere le proprie scelte di studi universitari quando questi non funzionano.
Vedo le carenze che ci sono e il danno grande che stiamo facendo a questi ragazzi e ragazze che all’università stanno in un angolo, non danno esami e nessuno li aiuta a ri-orientarsi e a motivarsi. Su questo tema una mia idea per un progetto con la Regione le confesso che ce l’ho. Ed è chiamare tutte le università allo stesso tavolo e dire: “Bene, quanti sono questi giovani che da due o tre anni non fanno esami?” E su questi ragazzi si costruisce un percorso strutturato di ri-orientamento, che può portare anche sulle lauree professionalizzanti, non necessariamente agli Its. Con degli esperti di orientamento gli si prospettano nuove opportunità e possibilità, cercando di riconoscere loro i crediti dei percorsi fatti e la validità degli esami sostenuti.