Pochi sono i dubbi che il futuro nella produzione di energia passerà (anche) dalla fusione nucleare: portare gli atomi ad interagire fino a modificare la loro struttura e così scatenare il rilascio di grandi quantità di energia. Il tutto senza che vengano prodotte scorie radioattive, che è il grosso problema delle centrali nucleari attuali, quelle a fissione.
Come funziona la fusione, in poche parole
Per far scoccare la scintilla da cui nasce l’energia pulita occorrono però milioni di gradi, una temperatura superiore anche di 10 volte a quella alla quale avviene la fusione all’interno del sole, una temperatura talmente alta quindi da incenerire qualunque materiale. Per ottenerla si usa un fascio di microonde che scalda un plasma in cui sono immersi, come in un gigantesco forno a microonde, isotopi di idrogeno: il deuterio, che nel nucleo ha un protone e un neutrone, e il trizio, che di neutroni ne ha due.
E proprio la elevatissima temperatura, come ci spiega l’ingegner Alberto Cipriani responsabile del progetto per Curti di Castel Bolognese, un ingegnere elettronico dal verace accento toscano, è il problema che rende il bolometro indispensabile.
L’unico modo per contenere il processo di fusione è infatti confinare attraverso un campo magnetico il plasma generato nel vuoto spinto (high vacuum) grazie a pompe d’aspirazione (pompe turbomolecolari). Per i più ferrati, le pompe turbomolecolari sono pompe in grado di aspirare e far raggiungere pressioni di vuoto fino a 10-7 millibar in spazi confinati.
Bene. Ma come essere certi che la produzione di energia proceda come previsto e che le condizioni, là dentro, nel plasma immerso nel vuoto, siano quelle necessarie a garantire da un lato la corretta fusione atomica e dall’altro la sicurezza di chi sta qua fuori? Ecco che allora entra in scena il bolometro.
Ma cos’è il bolometro?
Ma cos’è il bolometro? E’ uno strumento di misura che si presenta come una sfera di rame del diametro di 70 centimetri e serve per misurare la potenza trasferita al plasma per produrre una reazione da fusione termonucleare.
Nel Tokamak Iter, il progetto internazionale che si propone di realizzare un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale in grado di produrre un plasma di fusione con più potenza rispetto alla potenza elettrica richiesta a tutto l’impianto per riscaldare il plasma stesso, di bolometri ne saranno presenti 100.
Perché dobbiamo immaginare il reattore nucleare (tokamak) come un enorme tubo a ciambella con raggio esterno di circa 10 metri e alto 11,4 metri e che per tutta la sua lunghezza, a distanze precise, siano sistemati dei misuratori, i bolometri appunto.
Poiché non c’è un modo diretto per misurare la potenza di un fascio di microonde come, per esempio, si fa con il termometro per misurare una temperatura, allora si usano delle misure indirette come fanno i bolometri. Questi ricevono fasci di microonde con potenze fino a 1 Mw (quelli di casa lavorano con potenze al massimo di 1 Kw), li indirizzano su una superficie formata da un sottile strato ceramico di ossido di cromo, e dalla misura della temperatura del fluido di raffreddamento del bolometro riescono a estrapolare la potenza del fascio di microonde. Questa misura permette di capire quanta energia stiamo inserendo nel tokamak per favorire la reazione da fusione termonucleare rispetto a quella prodotta dalla reazione da fusione (il fattore di guadagno energetico).
È l’affascinante mondo della materia e dell’atomo!
E ancora più affascinante è che questo processo genera scorie radioattive milioni di volte inferiori a quelle di una centrale a fissione. Infatti, alla fine della fusione, se si spegne la centrale e si raffredda tutto, ciò che resta è solo una minima radiazione residua della macchina.
Sappiamo bene, invece, come le cose vadano diversamente con la fissione nucleare. I residui dell’uranio restano attivi e pericolosi per la salute e per l’ambiente per centinaia e anche migliaia di anni: i rifiuti a bassa attività richiedono un periodo pari a 300 anni per raggiungere livelli di radioattività non pericolosi per la salute umana. In caso di incidenti, i rischi ci sono, seppur oggi siano ridotti grazie alle centrali a fissione di ultima generazione.
Ma c’è “un però”
All’impiego della fusione nucleare c’è “un però”. Infatti al momento non si possono ancora fare considerazioni sul bilancio energetico delle centrali a fusione, in quanto tutte le centrali a fusione attualmente in funzione sono impianti sperimentali da laboratorio e quelle con l’obiettivo di produrre energia (Iter , W7-X, East, West e …) sono ancora in costruzione. Lo scopo di Iter è proprio confermare la fattibilità di produzione di un bilancio positivo di energia, mentre per arrivare ad alimentare con una centrale una media cittadina serviranno ancora anni di studi e di miglioramento tecnologico.
Le centrali a fusione non rappresentano quindi oggi una soluzione immediata, e probabilmente ci sarà una fase di transizione in cui continueranno ancora a funzionare centrali e micro-centrali a fissione nucleare.
Il consorzio internazionale del progetto Iter e la Comunità europea sulla fusione stanno investendo tantissimo. Dal punto di vista scientifico le conoscenze ci sono già, ma occorre sviluppare la tecnologia dei reattori, per renderli sempre più performanti dal punto di vista energetico.
Il ruolo della Curti
Dal 2020 anche alla Curti di Castel Bolognese ci stanno lavorando, su più fronti e coinvolgendo diverse realtà del gruppo industriale, collaborando con l’Istituto di fisica dei plasmi del Cnr di Milano e con la LTCalcoli, società di ingegneria numerica specializzata nella simulazione di fenomeni elettromagnetici, termici e strutturali, fluidodinamici.
L’Istituto di fisica dei plasmi del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) di Milano e la LTCalcoli a partire dall’inizio del 2000 hanno inventato, progettato e costruito i primi prototipi di bolometri attualmente in uso in alcuni laboratori (Svizzera, Giappone e Milano-Cnr). Dal 2020 collaborano con la Curti per l’ingegnerizzazione industriale dei bolometri, coadiuvata da Hypertech (società partecipata da Curti), per l’aggiornamento della progettazione meccanica, e gestione della parte tecnologica (tipologia di saldature e lavorazioni di macchina, test di tenuta idraulica e vuoto).
Viste le condizioni a cui viene sottoposta ogni parte del bolometro occorre massima precisione nell’elaborazione e massima accuratezza nel montaggio delle due semisfere, che accoppiate formano la sfera di rame del bolometro. Non si può fare ricorso a guarnizioni per le parti che convogliano le microonde, e ci deve essere la totale assenza di spigoli e di impurità. In previsione di una produzione più massiccia, una specifica area dello stabilimento sulla via Emilia verrà quindi destinata a queste lavorazioni.
Un primo bolometro prodotto è stato testato in Svizzera per conto di Iter Us (l’agenzia americana di Iter), dove è stato messo a confronto con quelli prodotti da due aziende americane impegnate nella gara alla stessa tecnologia. Il bolometro fatto da Curti ha funzionato meglio per precisione e tempi più lunghi di resistenza all’impatto delle microonde.
Un lotto di quattro bolometri è stato appaltato alla Curti dal consorzio per l’attuazione del progetto Divertor Tokamak Test (Dtt scarl) di Frascati (Consorzio del Centro ricerche Enea di Frascati). Mentre un lotto ben più cospicuo di 80 bolometri è legato a Iter, il progetto che coinvolge 35 paesi nella costruzione della macchina per la fusione più grande al mondo a Caradache, nel sud della Francia.
Come dice Cipriani, oggi «la sfida più importante è escogitare il modo per andare avanti in questo pianeta senza rinunciare al benessere e allo sviluppo. Occorre quindi impattare il meno possibile e in questa prospettiva l’energia che deriverà dalla fusione sarà la svolta».
Nel frattempo la fissione continuerà a rappresentare il perno della produzione di energia nucleare, accompagnando la transizione alla fusione. E Curti potrebbe essere in grado di realizzare molte delle parti delle nuove centrali a fissione e del processo di revamping di quelle esistenti.
Essere gli unici o quasi a produrre una tecnologia di questo tipo può rappresentare per un’azienda un traguardo importante, non oggi ma in un futuro. Ma essere visionari è la forza che anima la Curti.