Bene far conoscere animali e prodotti agricoli ai ragazzi, bene mantenere vive le tradizioni contadine e bene è creare occasioni di approfondimento sulle novità del settore, come fa in queste tre giornate la Fiera agricola del Santerno. Ma l’agricoltura, quella vera, come si dice, “dal campo alla tavola”, che ruolo svolge nel territorio? Quanto pesa ancora e che futuro si può immaginare? Partiamo dai numeri.
L’agricoltura nel circondario, in cifre
Le aziende agricole attive nei 10 comuni del circondario imolese erano 4.133 nel 2000, erano diventate 2.679 nel 2010, e si sono ridotte alle 2.036 registrate nel 2020. Di queste circa 2mila, 839 imprese, più di un terzo, sono nel comune di Imola.
La superficie coltivata supera i 49mila ettari: 37mila sono a seminativo, in prevalenza cereali, 8.300 ettari sono frutteti e vigneti, 3.100 a prati permanenti e pascoli, mentre 37 ettari sono occupati da orti familiari, che non è poco. Non a caso Imola era chiamata “la città dei 100 orti”. I comuni con la maggiore estensione di superficie coltivata sono Imola e Medicina. Le imprese agroalimentari sono 98.
L’intervista
Pierangelo Raffini (nella foto) è l’assessore alle attività produttive, allo sviluppo economico, all’agricoltura del Comune di Imola.
Assessore, questi sono i numeri. Ma qual è, oggi, il peso effettivo dell’agricoltura nel tessuto sociale ed economico del circondario imolese?
Per fortuna l’agricoltura nel nostro territorio ha ancora un peso notevole: solo in termini economici vale più del 20% del Pil del circondario. Ci sono più di 49mila ettari di superficie coltivata, una estensione che in proporzione è molto più alta che in altre aree con caratteristiche simili. Inoltre si tratta di una agricoltura fatta da una ampia varietà di coltivazioni, che va dal seminativo alla viticoltura e alla frutticoltura e un po’, anche se sempre più limitata, dalle attività di allevamento. Tante colture diverse.
Certo, come avvenuto altrove, anche l’agricoltura del circondario ha visto una riduzione consistente del numero delle imprese, ma questo non ha portato ad una perdita significativa di ettari destinati alla coltivazione. C’è stato un cambio, un allargamento del seminativo cerealicolo rispetto alle altre colture, e questo lo vediamo anche nei paesaggi. Ma anche se lo scorso anno siamo stati flagellati dalle alluvioni e in collina dalle frane, poi dalla siccità, nel complesso possiamo dire che l’agricoltura del territorio ha dimostrato di essere molto robusta e resiliente.
L’agricoltura però non è solo quella che si svolge nel campo.
E infatti abbiamo un numero significativo di imprese che operano nell’agroalimentare, imprese in salute che sono una garanzia per il mantenimento anche dell’attività agricola in senso stretto. Se pensiamo alla filiera nel suo complesso, il peso delle attività legate all’agricoltura è ancora più importante.
Però un tema chiave del settore, soprattutto guardando al futuro, è la difficoltà nel ricambio generazionale, mentre si alza l’età media sia degli imprenditori sia degli addetti.
Il tema c’è, esiste, e come amministrazione lo abbiamo ben presente. Con le associazioni agricole, con l’istituto scolastico agrario Scarabelli-Ghini e con l’università lo teniamo monitorato. L’obiettivo che ci poniamo è essere un drive e uno “stimolatore” di processi e peculiarità, spingere il comparto a guardare alle nuove tecnologie, perché questa è la chiave per far nascere nuove imprese e per innovare quelle esistenti. Sul territorio ci sono già realtà imprenditoriali che stanno facendo molto in termini di maggiore diffusione di una cultura dell’innovazione, sostenendo e promuovendo processi e tecniche che possono diventare fondamentali, ad esempio nelle soluzioni impiantistiche. In questo contesto l’amministrazione pubblica può svolgere il ruolo di collante e di aggregatore: tenere unite le diverse realtà e facilitare il network tra le forze che vogliono percorrere la strada dell’innovazione.
In questo possibile scenario di innovazione l’area imolese parte avvantaggiata: c’è una scuola agraria con una tradizione solida e un alto livello di formazione e di collegamento con le imprese e più in generale con il territorio, una parte significativa dell’offerta universitaria è centrata proprio sui temi dell’agricoltura, ci sono, come ricordava lei, aziende innovative nella realizzazione di impianti e ausili. Le condizioni per una agricoltura nuova e diversa parrebbero quindi esserci: persone formate e strutture innovative.
È così. Un segnale lo cogliamo anche solo scorrendo il calendario degli appuntamenti della Fiera agricola del Santerno, dove la convegnistica che parla e punta su una agricoltura nuova è molto presente: il bisogno delle competenze, il ruolo della tecnologia, il nesso con altri settori come il turismo e l’enogastronomia.
Un problema con cui ci scontriamo oggi è la mancanza di un numero sufficiente di nuove figure professionali, una carenza a reperire personale che vediamo in tutti i settori produttivi, ma ancora di più nell’agricoltura. Forse dobbiamo impegnarci tutti di più a far capire che lavorare in agricoltura non è più come una volta, che la fatica fisica ha lasciato molto spazio alle competenze professionali e all’utilizzo di tecniche e ausili colturali. Poi c’è un tema di profittabilità del settore, e su questo un’amministrazione comunale purtroppo può fare poco.
Sulla riconoscibilità e tipicità, che portano ad aumentare il valore di prodotto e lavoro, però, si può fare tanto.
Sì e lo stiamo facendo, ad esempio con il marchio “dal cuore di Imola” (qui il regolamento d’uso del marchio) che oggi raduna una ventina di imprese, anche nella relazione con la grande distribuzione, che ai temi della tipicità e della territorialità è sempre più sensibile. Dalle associazioni viene il riconoscimento della validità e il sostegno a questo brand identitario di un territorio riconosciuto nel mondo grazie in particolare alla Formula 1. Può costituire un fattore competitivo sul mercato, come hanno testimoniato alcune imprese dell’agroalimentare che vendono anche all’estero. Dobbiamo continuare e far conoscere sempre di più questo brand.
Un altro aspetto su cui bisogna insistere è fare sistema. Tenere insieme gli interventi per salvaguardare la risorsa idrica e l’attenzione a produzioni che vengono avanti spinte dai cambiamenti climatici, come l’olivicoltura in forte aumento e con produzioni di qualità, così da mettere i cambiamenti a fattore positivo. Quello agricolo è un mondo importante e lo sarà sempre, che si impegna quotidianamente, che è radicato nel territorio e che per sua stessa natura non può essere scisso dai temi di tutela dell’ambiente e di salvaguardia del paesaggio. Oggi però l’impresa, da sola, non fa più nulla. L’esistenza di piattaforme e di strumenti più ampi di penetrazione del mercato sono divenuti imprescindibili, e le associazioni ce lo dicono chiaramente.
Buona parte delle decisioni però non dipendono da noi. In Italia abbiamo dei prodotti e una caratterizzazione che altrove non hanno e su cui dobbiamo lavorare, ma questo può succedere solo a livello europeo. Altri Paesi del Mediterraneo, penso a Francia e Spagna, lo hanno capito prima e lo fanno meglio di noi.