La Regione Emilia-Romagna ha messo in campo 30 milioni di euro per abbattere le liste d’attesa. Nel corso del 2024 questo dovrebbe portare un milione di prestazioni in più, incrementando del 20% il numero di visite ed esami diagnostici.
Nell’azienda sanitaria di Imola questo sforzo di spesa si tradurrà in un aumento dell’offerta del 18% per le visite e del 14% per la diagnostica, per un totale di 311.350 prestazioni e per un valore economico di oltre 1 milione di euro.
Il 20% dell’aumento delle prestazioni viene garantito dall’incremento del personale, il 7% da prestazioni aggiuntive che l’Ausl acquista dai propri professionisti in libera professione (la cosidetta similalp), il 73% è acquistato dal privato accreditato.
Il costo per le casse pubbliche sarà così distribuito tra personale, prestazioni in libera professione e acquisto di visite e soprattutto di esami diagnostici dalla sanità privata:
In realtà la cifra sarà un po’ più alta di un milione perché nel frattempo è intervenuto il nuovo contratto della sanità che eleva il costo della prestazione del medico in similalp da 80 a 100 euro.
L’aumento di offerta è già attivo da alcuni mesi e i risultati migliorativi sui tempi di attesa sono già evidenti. Come mostrano le tabelle di monitoraggi che SI POSSONO VEDERE QUI
Restano delle difficoltà legate alla visite dermatologiche (rispetto dei tempi tra il 40% e il 50%) e a quelle diabetologiche. I professionisti di queste specialità proprio non si trovano, nemmeno nel privato.
Quello messo in campo è un piano straordinario, ha sottolineato il direttore dell’Ausl di Imola Andrea Rossi, che però resta una misura tampone se oltre alla maggiore offerta (e spesa) di prestazioni non viene fatto un lavoro più profondo sulla cosiddetta appropriatezza. Cioè se visite ed esami non vengono prescritti dai medici di famiglia solo quando servono. Insomma, «la prestazione giusta, alla persona giusta, in tempi corretti». Ci torneremo più sotto nell’articolo. Prima un’altra novità, sempre sui tempi d’attesa per fare visite ed esami.
No alle agende chiuse, ci si affida alla prelista
Per aggirare il problema delle agende chiuse la Regione ha introdotto le cosiddette preliste. Quando si va o si chiama il Cup per prenotare una prestazione sanitaria non ci si sentirà più rispondere «provi a ripassare domani o nei prossimi giorni», bensì un (si spera) più promettente «la richiameremo». Proprio come quando ci si mette in lista per fare un intervento chirurgico: “ti chiamano loro”.
Al momento l’Azienda Usl di Imola ha attivato la prelista per sei prestazioni, tre con priorità B (differibile entro 10 giorni): visita antalgica, visita fisiatrica, visita nefrologica; tre con priorità D (entro 30 giorni per le visite e 60 per le prestazioni diagnostico strumentali): gastroscopia e colonscopia, visita diabetologica. Per tutte le altre prestazioni, garantiscono dall’azienda sanitaria, la prelista sarà attivata eccezionalmente, solo qualora non ci sia disponibilità di prenotazione.
Due soluzioni, l’aumento delle prestazioni e il superamento delle agende chiuse che sicuramente fanno tirare un po’ il fiato al sistema sanitario regionale e che richiedono uno sforzo economico e organizzativo notevoli. Ma che non risolvono il problema all’origine, che quindi si ripresenterà una volta esaurita l’iniezione di maggiori risorse.
La domanda corre
La domanda di visite specialistiche cresce del 14-15% ogni anno. Nel 2023 si è raggiunto e superato il livello precedente al Covid, quando il sistema sanitario era già sotto stress.
Nel 2022 in Emilia-Romagna ogni anno si facevano 65 visite specialistiche ogni 100 abitanti; un rapporto nettamente più alto rispetto a tutte le altre regioni. Questa inflazione da domanda di prestazioni si va a incrociare con un problema noto ma di difficile risoluzione, vale a dire la grande difficoltà a reperire personale medico.
«Checché se ne dica, i soldi stanno finendo»
..dice il direttore dell’Ausl di Imola Andrea Rossi. Quindi «non possiamo permetterci di inseguire la crescita del livello della domanda».
Ecco che allora occorrerà, presto, da subito, iniziare a risolvere «un’altra criticità». Perché, spiega il numero uno della sanità imolese, «quando andiamo a guardare le prescrizioni che escono dalle penne dei medici di medicina generale ciò che vediamo sono delle differenze notevoli. Non di una o due volte, ma di dieci volte!».
Si parla di numeri di prestazioni prescritte: visite ed esami specialistici che i medici di famiglia scrivono sulla ricetta e che finiscono nelle liste d’attesa, gonfiandole.
Certo, la popolazione è sempre più anziana e quindi più fragile e “affamata” di soluzioni ai propri problemi di salute. «Ci sta, poi però andiamo a fare dei confronti tra un territorio e un altro o tra un medico e l’altro e troviamo delle grandi differenze. Noi non possiamo pensare di fare questo sforzo che ci costerà più di un milione di euro per aumentare del 16% il livello delle prestazioni specialistiche, e arrivare alla fine del prossimo anno in cui rischiamo di trovarci esattamente nelle condizioni di partenza».
Non si può rispondere solo aumentando l’offerta, «perché c’è un quota importante di prestazioni che dal punto di vista dell’appropriatezza lasciano molto a desiderare. Molte delle attività specialistiche che facciamo non servono a risolvere il problema di salute del cittadino. Se ho un dolore cronico ad un ginocchio non serve a niente fare una risonanza magnetica, così come non serve una risonanza nei primi sei mesi dall’insorgenza di mal di schiena, o se ho una cefalea non traumatica. Bisogna che cominciamo a dire che ci sono esami che non servono a niente. Perché fare una fotografia non fa passare l’artrosi».
Quindi, che fare?
La ricetta della direzione dell’azienda sanitaria imolese prevede innanzitutto di monitorare l’appropriatezza delle prescrizioni dei medici. Gli strumenti di verifica ci sono e hanno già mostrato ad esempio come circa un terzo degli esami di risonanza osteoarticolare prescritti sono inappropriati.
Poi far parlare di più e meglio tra loro clinici e specialisti. In attesa della piattaforma nazionale di telemedicina, si sta quindi ragionando nell’attivazione di contatti telefonici attraverso un sistema ordinato bidirezionale ospedale-medico di famiglia.
Terzo, aumentare il ventaglio delle prescrizioni guidate (oggi sono 5 sulle 26 incluse nel protocollo regionale), sia con segnalazione sull’aderenza o meno ai protocolli sanitari, sia attraverso percorsi condizionati che bloccano la prescrizione e chiedono di motivarla se questa non rientra nelle casistiche previste.
Quarto, migliorare l’accessibilità all’assistenza primaria. Un sistema vicino ai cittadini, come è la rete dei medici di famiglia, sostiene il direttore Andrea Rossi, non dovrebbe prevedere tempi d’attesa. «Nel rapporto col medico di medicina generale non ci dovrebbero essere attese, invece anche lì cominciano fenomeni di visite per appuntamento, devi telefonare, si allungano i tempi. Una minore accessibilità all’assistenza primaria porta a un maggiore ricorso all’assistenza specialistica». Così «continueremo a far fare agli specialisti un mestiere che invece dovrebbe spettare al medico di assistenza primaria».
Responsabilizzare i prescrittori
«Dobbiamo passare attraverso una maggiore responsabilizzazione dei prescrittori. Perché solo aumentando l’offerta, già molto alta, i problemi non si risolvono».
In questo senso il ricambio già in atto dei medici di famiglia, tra i pensionamenti e gli ingressi alla professione di giovani medici, più influenzabili da parte dell’azienda sanitaria, ma forse anche più vulnerabili alle richieste di prescrizioni da parte dei pazienti, rappresenta «un’opportunità e un rischio».