Cooperativa Ceramica d’Imola a 150 anni è diventata uno dei luoghi più belli della città

Lo storico stabilimento della Cooperativa Ceramica d’Imola in via Vittorio Veneto è diventato uno dei luoghi più belli della città, dei più suggestivi, evocativi, carichi di armonia e di bellezza.

Per realizzare questo borgo industriale ci sono voluti un presidente concreto e visionario, un consiglio d’amministrazione solido e dei soci che hanno guardato oltre il presente. Senza farsi spaventare da un investimento ingente, che non era destinato ad acquistare nuovi macchinari o ad aumentare la produzione, ma a valorizzare l’unica cosa che non si può comprare: la propria storia.

Per i suoi primi 150 anni la Cooperativa Ceramica d’Imola si è dunque fatta un regalo, riportando alla luce le forme, i colori, l’identità della sede storica, creando un museo in cui la storia dell’azienda imolese corre in parallelo alla storia della ceramica tout court, e restituendo alla città un’area che prima era degradata ed ora è un elegante biglietto da visita.

Fatti salvi gli addetti ai lavori e chi è impiegato negli uffici di via Vittorio Veneto, i primi a godere del risultato saranno i soci (121), i soci pensionati e i dipendenti (940 quelli nell’organico del gruppo), in occasione di due serate conviviali organizzate venerdì 5 e sabato 6 luglio.

Sabato per consentire ai lavoratori di partecipare verranno bloccate le linee produttive per i due turni  quello pomeridiano e il notturno. Tutti saranno in permesso retribuito. Il rifornimento ai forni ripartirà con il turno che attaccherà alle 4 di domenica mattina. 

L’intervento

I lavori sono costati 10 milioni di euro e sono stati realizzati a tempo di record per non mancare l’appuntamento con l’anniversario. Ovviamente prima però è stato fatto un attento e minuzioso lavoro di preparazione partito già nel 2020. Sono stati utilizzati anche i droni per “fotografare” l’esistente e realizzare render realistici. Perché si voleva avere un’idea progettuale e una resa molto precisa del risultato finale.

Un passaggio fondamentale e organico al progetto di recupero della sede storica è stata la separazione dell’ambito e lo sviluppo dell’area su cui è sorto il supermercato Interspar.

In otto mesi nel 2023 è stato demolito il grande capannone che correva lungo la linea ferroviaria. Questo ha permesso di scoprire e liberare la facciata e l’ingresso storico, rivolto appunto verso i binari, e di sistemare il contorno con aree verdi, vialetti e punti luce.

È stato quindi recuperato il piano terra dell’edificio storico che ospitava la sala mostra. Qui si è spostata la sezione artistica, dove si lavorerà “a vista”, come nelle cucine dei grandi ristoranti.  Sempre a vista è riemerso il vecchio forno della vetreria, prima interrato.

Sono poi bastati altri cinque mesi, dalla fine del febbraio scorso, per la demolizione di uno dei quattro capannoni su viale Marconi, e per il recupero dei piani alti dell’edificio e l’allestimento dei 2mila mq del museo. Nel museo sono esposti gli oggetti più belli e significativi della produzione di ceramica artistica; ma grazie a foto, video e animazioni sono valorizzate anche le persone su cui quella storia è stata costruita.

Ma del museo vi parleremo con maggiore ricchezza di dettagli in un articolo che pubblicheremo prossimamente.

Ora un po’ di storia, solo un po’

La Cooperativa Ceramica nasce in centro storico, in via Quaini, quando il fondatore Giuseppe Bucci decise di cederla ai suoi operai. Si producevano maioliche e stoviglie e solo nel 1913 viene avviata la produzione delle piastrelle, che diventerà il core business dell’azienda. 

Nel sito di via Vittorio Veneto la cooperativa entrerà nel 1922, andando a rilevare il complesso industriale della Vetreria Operaia Federale. Qui si lavorava a ciclo continuo per fare bottiglie e damigiane di vetro, con modalità, organizzazione ed etica del lavoro che per l’epoca erano sicuramente all’avanguardia.

A dirigere i lavori per la costruzione della vetreria fu l’imolese Felice Orsini, per 30 anni ingegnere nell’Ufficio tecnico del Comune di Imola. Lo stesso che progettò l’Ospedale vecchio, parte dell’Osservanza, alcuni dei villini in viale Dante; nipote e omonimo del poeta e rivoluzionario che attentò alla vita di Napoleone III.

Ecco, i lavori fatti nel corso degli ultimi due anni sono stati indirizzati proprio a riscoprire l’architettura e la parte di struttura originaria di quella costruzione, scampata, in parte, ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. La parola d’ordine è stata «semplificare».

Il designer

Mario Tombaccini dello Studio ArchDesign di Cesena è il designer che ha progettato e guidato il recupero. Racconta come la difficoltà maggiore sia stata «ripulire, portare via pavimentazioni e quanto aggiunto nel tempo, soprattutto negli anni ‘80, così da far uscire le forme iniziali. C’erano dei vincoli strutturali importanti, e noi ci abbiamo “giocato” introducendo elementi moderni in ferro corten». Nel rispetto «della semplicità della struttura, e inserendo dei dettagli, esattamente come fa un’azienda che lavora un materiale povero come è la ceramica».

Il presidente

Per il presidente Stefano Bolognesi è stato «il migliore investimento di marketing che potevamo fare».

«Mostrare la storia, il percorso compiuto da questa azienda, le opere, i muri, le pietre, i fabbricati, che hanno attraversato periodi storici difficili e sono arrivate ai giorni nostri, in continuità. Il primo elemento è quindi l’orgoglio e il senso di appartenenza. Il secondo è che questa è un’azienda che guarda al futuro, e per guardare al futuro bisogna sapere dove si è arrivati e soprattutto da dove si viene. Questo recupero vuole quindi essere un esempio, una testimonianza di cultura, per le generazioni attuali e per quelle future».

«Personalmente – dice ancora Bolognesi, che in Coop Ceramica è entrato nel 1985 da manutentore ed è presidente dal 2004 – la soddisfazione maggiore è stata avere trovato condivisione all’interno dell’azienda, avere avuto l’appoggio dei soci».

«La nostra piattaforma sul mondo vuole essere Imola, quindi puntiamo a comunicare nel mondo le nostre radici». Perché, e chiudiamo, «la tecnologia si può comprare, le professionalità si possono costruire, è difficile ma si può fare. La storia invece no, non si compra, la devi avere».

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