Testo pubblicato per gentile concessione di Cantiere Bologna
Capita spesso, a chi ha passione per la scrittura e non solo, di conservare per lungo tempo oggetti, eventi, aneddoti o parole che, sul momento, non sembrano di grande utilità professionale, ma accendono nella mente del loro collezionista l’intuizione, quasi fosse un’epifania, che in un futuro possibile e in un contesto altrettanto vago quei medesimi reperti apparentemente inutili avranno, invece, un qualche dignitoso impiego nel racconto della propria vita.
Problemi da ossessivo compulsivi, direte voi. Eppure è quanto successo a me, per l’ennesima volta, mentre tentavo di concepire il pezzo che segue.
All’incirca due anni fa, nel corso di un intervento alla Festa di Scienza e Filosofia di Foligno, il giornalista Dario Fabbri raccontò un aneddoto sulla bisnonna, indicativo a suo dire del fatto che, nell’approcciarsi alla realtà, il buon senso e la capacità di osservare il contesto sono spesso molto più utili di idee sofisticate e rigidi schemi culturali (qui). La signora, analfabeta, usava infatti comprare cartoni di latte e aprirli anche a rovescio, ossia senza associare – per ovvie ragioni – l’orientamento della scrittura alle modalità di utilizzo. Un giorno il giovane vate, allora bambino, vedendo uno di questi cartoni poggiato al contrario sul tavolo della cucina decise di ribaltarlo, senza accorgersi che era già stato aperto. Davanti allo spettacolo del latte sparso su tutto il pavimento, l’anziana sferzò l’ego del nipote con una sentenza tanto divertente quanto tremendamente severa: «Saprai anche leggere, ma sei un cretino».
Una figura simile la facciamo in tanti, da queste parti, quando pensiamo e dibattiamo del nostro spazio geografico e stabiliamo le priorità per governarlo. E curiosamente, anche noi ci immaginiamo orientati secondo le modalità con cui il nostro nome, Emilia-Romagna, si legge e si scrive: da sinistra a destra, da Occidente a Oriente.
Dunque prima l’Emilia e poi la Romagna, rigorosamente per ordine di presunta importanza, con Bologna ovviamente al centro. A tal punto che ne discutiamo per settimane sui giornali, e la provenienza geografica di un candidato, quando si parla di elezioni regionali, diventa dirimente per la scelta e impone anche al candidato stesso di adattarsi a questo schema mentale. Ma siamo sicuri che sia davvero così?
Al di là di sciocchezze come il “principio dell’alternanza” tra emiliani e romagnoli alla guida della Regione, o di valutazioni anagrafiche che nel Paese più vecchio del mondo hanno comunque un certo fascino, la candidatura del sindaco di Ravenna Michele de Pascale può esserci utile, indipendentemente dal risultato finale, per ribaltare finalmente un tavolo che da troppo tempo inclina esclusivamente verso Piacenza, lasciando totalmente in secondo piano una porzione fondamentale del nostro territorio, la Romagna, alla quale volgiamo lo sguardo soltanto dopo una catastrofe ambientale o con l’avvento, altrettanto catastrofico, delle ferie d’agosto.
Se sulla centralità di Ravenna e del suo porto, pur in tutt’altro contesto, mi ero già concentrato una volta (qui), su quella di Bologna mi limito a constatare che, per una città che si comporta come uno Stato e si racconta autarchica, la centralità non è un dato di fatto ma un dogma da imporre. Ragion per cui Bologna si ricorda che esistono gli altri soltanto quando si accorge, sventurata, che da sola non ce la fa. E per converso, il più delle volte, riceve in risposta una sonora pernacchia.
Di questo conflitto passivo aggressivo gli esempi sono molti, anche recenti, e non si limitano alle cariche elettive. Emblematica la difficoltà a far cooperare tra loro aeroporti e altre infrastrutture che avrebbero tutto per lavorare insieme, o la mancata fusione tra Bologna Fiere e la Ieg di Rimini, che avrebbe potuto dare all’Emilia-Romagna il primato nel circuito fieristico italiano e si è invece risolta, per opposti campanilismi, in una quotazione in borsa della componente bolognese con esiti ancora da decifrare (qui). E sebbene non manchino gli esempi virtuosi, a latitare è ancora quella visione sistemica che permetta a tutte le energie regionali, come ripete spesso Romano Prodi, di «lavorare insieme» all’interno di una rete che vada davvero da Ottone a Cattolica (qui).
Se, come insegna Fabbri, la globalizzazione «è fatta d’acqua», una regione come la nostra non può immaginare il suo futuro senza guardare inevitabilmente verso il mare. Per questo, dopo la ricostruzione post alluvione e le politiche ambientali, il compito principale di chiunque si siederà sullo scranno più alto di viale Aldo Moro sarà, a mio modesto avviso, quello di costringerci tutti a volgere lo sguardo nella direzione giusta. Lì dove l’universo, guarda caso, ha voluto che sorgesse sempre il Sole.