Il sistema termale in Italia è, per così dire, in fase di cura.
Per le sue caratteristiche ha infatti risentito in modo pesante degli effetti della pandemia; è un settore molto energivoro, e quindi sconta il rialzo dei costi energetici dovuti alla situazione geopolitica internazionale; subisce gli aumenti dell’inflazione che spinge le famiglie a contrarre i consumi e rinunciare alle cure ritenute non essenziali.
Il risultato è che se il blasone e le strutture, gli immobili “da mantenere”, sono quelli degli anni ‘80, gli anni d’oro del termalismo, i numeri reali di pazienti/clienti si sono ridotti a un terzo.
Il corpo e lo spirito
Se oggi pensiamo alle terme ci immaginiamo immersi in una vasca tra getti d’acqua e a godere di massaggi rilassanti. Certo, bello, ed una parte del settore infatti si identifica col wellness: quella è l’identità più facile da comunicare e sulle cui potenzialità turistiche da un po’ di tempo c’è grande fermento e si concentrano gli investimenti dei grandi gruppi.
C’è però un’altra faccia del termalismo, se vogliamo più tradizionale, meno modaiola, che sono le terme che curano, riabilitano, consentono di prevenire i malanni. Si tratta di attività e di servizi termali che sono un elemento rilevante di salute, ma che, con questa tendenza a far coincidere le terme con le esperienze sensoriali, finiscono oscurate dall’altra immagine, quella più di moda legata al benessere. Col rischio di vedere perdute le conoscenze e le opportunità curative che le acque termali possiedono e offrono, in particolare nella nostra regione.
Castel San Pietro più Cervia
L’Emilia-Romagna con 24 sedi è la regione col maggior numero di terme di prevenzione, riabilitazione e cura. Nella nostra regione opera un consorzio, il Coter – Consorzio del circuito termale dell’Emilia-Romagna, che, come si dice, riesce a mettere attorno ad un tavolo società concorrenti chiamandole a dialogare sui diversi temi del settore, e che consente al sistema termale di farsi ascoltare parlando con una voce sola. La sede del consorzio è a Castel San Pietro.
Il termalismo è in fase di cura, dicevamo. E come spesso avviene nei momenti di crisi le alternative sono due: o si chiude, oppure si immaginano e di creano sinergie, cioè ci si mette assieme per ridurre i costi fissi, avere le spalle più grosse nel rapporto con banche/compagnie assicurative/fornitori, e per condividere le buone pratiche.
Così è nata la fusione tra il gruppo Anusca, dal 2017 socio di maggioranza delle Terme di Castel San Pietro, e Terme di Cervia e Brisighella Srl, società di cui Castel San Pietro ha acquisito il controllo, dando vita in questo modo ad un polo che conta circa il 20% delle prestazioni erogate nel complesso dal sistema termale dell’Emilia-Romagna (dell’operazione di fusione abbiamo parlato QUI).
Le Terme di Castel San Pietro nel 2023 hanno registrato 7.742 clienti termali (oltre ai circa 2.500 clienti del poliambulatorio) per un totale di 168.960 prestazioni termali e un fatturato (relativo al solo ambito termale) di 2.280.300 euro. Sempre nel 2023 le Terme di Cervia hanno registrato 23.227 clienti termali a cui hanno erogato 317.483 prestazioni per un fatturato termale di 4.798.401 euro. Castel San Pietro impiega una cinquantina di dipendenti in alta stagione, 11 quando lo stabilimento è chiuso, prevalentemente amministrativi e addetti al personale; Cervia passa dai 75 al lavoro nel periodo tra maggio e novembre, ai 14 della bassa stagione.
Nel 2024 sia Cervia sia Castel San Pietro hanno visto crescere gli arrivi del 12%.
Come dice l’amministratore delegato di Terme di Castel San Pietro dell’Emilia Spa, Stefano Iseppi, nuovo presidente del consiglio di amministrazione di Terme di Cervia e Brisighella Srl:
«Mettere assieme le diverse competenze pensiamo possa essere una soluzione alle difficoltà del mondo del termalismo».
Primo passo: ridurre i consumi energetici
A Castel San Pietro, così come negli altri stabilimenti della pianura padana, l’acqua sgorga a una temperatura compresa tra i 14 e i 16 gradi. Per fini curativi viene poi portata fino circa a 34 gradi. Dieci dei gradi che mancano per passare dalla fonte alla vasca si ottengono recuperando il calore dell’acqua in ricircolo.
Il risultato è che, a parità di servizi erogati, Castel San Pietro nel 2024 richiederà elettricità in misura del 17-18% rispetto a quella di cui aveva bisogno solo nel 2016.
Un traguardo ambientale ed economico, come spiega l’Ad Iseppi, che è figlio di “n” investimenti: da quelli più imponenti legati alla cogenerazione e ai pannelli fotovoltaici, ad altri più piccoli ma comunque indirizzati a ridurre i consumi. Su questo fronte Cervia, che è lo stabilimento termale col maggior numero di clienti in Emilia-Romagna e possiede la piscina termale coperta più grande d’Europa, e quindi ha bisogno di energia in modo importante, questi passi devono ancora essere compiuti. Il piano per il prossimo biennio prevede 1,5 milioni di investimenti da effettuare proprio per rinnovare gli impianti, che rappresenta la priorità del nuovo gruppo nato con la fusione siglata il 27 agosto scorso.
Dal canto suo, Cervia potrà trasferire a Castello le competenze sviluppate nella quotidiana gestione dei sistemi, come quelli per la digitalizzazione degli accessi dei clienti.
Il futuro 1/ Distinguere tra wellness e cura
«Nel nostro sottosuolo c’è una ricchezza di salute che dobbiamo usare».
In Emilia-Romagna dal sottosuolo non sgorgano acque calde come quelle di Saturnia, ma acque particolarmente ricche di proprietà curative.
Non tutte le acque sono uguali: quelle dall’odore inconfondibile di uovo marcio contengono una molecola che si chiama idrogeno solforato o acido solfidrico, sono ad esempio adattissime alla cura dell’orecchio; per non parlare dei benefici che alcune acque termali possono portare a chi soffre di dolori reumatici oppure a chi deve facilitare e accompagnare il recupero e la riabilitazione dopo traumi o fratture.
Quindi, chiediamo, quale strada occorre prendere per garantire un futuro al termalismo emiliano-romagnolo?
«Prima di tutto occorre differenziare bene i due messaggi. Perché i pazienti sono una cosa diversa dai clienti. Dobbiamo lavorare ancora di più sulla comunicazione per far comprendere l’utilità del termalismo per la salute. Strada che peraltro in Emilia-Romagna è una strada obbligata, non essendoci le acque calde: è la geologia che ce lo impone. Sviluppare il settore della riabilitazione, della risposta che le acque curative possono rappresentare per il recupero degli sportivi».
Il futuro 2/ Formare il personale e i medici di famiglia
Il secondo aspetto su cui lavorare per ridare smalto al termalismo di salute è la formazione.
In primo luogo per poter contare su un numero di operatori termali in grado di soddisfare la domanda. Si tratta di qualifiche professionali riconosciute dalla Regione dopo avere seguito corsi di formazione di 600 o di mille ore, ma si fatica a trovarle anche perché sono in buona parte impieghi stagionali.
A mancare sono poi anche i medici, un problema trasversale, che riguarda tutte le strutture sanitarie e le specializzazioni.
Una specifica difficoltà legata al settore termale è invece la carenza di formazione offerta ai medici di famiglia sulle caratteristiche e le potenzialità dell’idroterapia. Conoscenze e competenze che fino a qualche anno fa facevano parte del percorso di studio dei medici di medicina generale e che non esistono più. E se gli stessi medici che le devono prescrivere non conoscono i benefici delle cure termali…