Quella volta che i genitori di Imola sconfissero Goldrake

Questa immagine e gli altri articoli di giornale dell’epoca riportati sono tratti da https://imagorecensio.blogspot.com/

Ci fu un tempo in cui si facevano le crociate contro Goldrake e Mazinga. Un tempo in cui un gruppo di genitori e di insegnanti, allarmati per il rapimento con cui i bambini guardavano i cartoni animati in televisione, e preoccupati per l’effetto che tutta quella animazione poteva avere sulle loro menti e sui loro comportamenti, decisero di protestare pubblicamente.

Raccolsero delle firme, più di 600, e scrissero una lettera ai giornali, alla Rai, alla Commissione parlamentare di vigilanza sui servizi radiotelevisivi, e a due ministri. Per manifestare tutta la loro preoccupazione sugli effetti che la proposizione di modelli giudicati negativi aveva sulle giovani generazioni, e chiedere alla Rai di limitare la presenza di cartoni “violenti” in televisione.

A rileggere le cronache del tempo in effetti sembra preistoria, e forse lo è. Ma no, non siamo in “una galassia lontana lontana”, bensì a Imola.

Come è nato tutto

Nei giorni scorsi un amico/lettore ci ha segnalato una chicca riemersa dal passato grazie ai blog affollati dagli appassionati di fumetti e di “cose giapponesi”. E così abbiamo fatto un salto indietro nel tempo che prima di tutto fa sorridere, come ha fatto sorridere noi, ma che a pensarci ci aiuta anche a relativizzare gli assoluti di oggi (gli effetti dell’immersione nell’intrattenimento) oppure a capire come forse tutto sia iniziato molto prima dell’avvento dei social.

Certo il timore per i propri figli che potevano trovare “fino a quattro ore pomeridiane di cartoni animati giapponesi passando dalla Tv di Stato a quelle private” impallidisce di fronte ai supposti pericoli che arrivano oggi nelle case dagli schermi, quelli più piccoli e onnipresenti dei telefonini.

Ma forse ogni tempo ha la sua crociata e i suoi nemici da sconfiggere. Che siano i robot degli anime giapponesi degli anni ’70-’80 o le challenge degli influencer, i gattini o i vari “non potrai credere a cosa gli è successo”.

Il tema in fondo è sempre lo stesso: in che modo quello che vediamo, leggiamo, ascoltiamo, o a cui assistiamo, influenza ciò che siamo e che facciamo?

Correva l’anno 1978 e la televisione fu invasa dai cartoni animati giapponesi

Al tempo della crociata dei genitori di Imola ci troviamo storicamente in un momento di grade fermento per la televisione italiana. Nel 1976 la Corte Costituzionale ha sancito la legittimità delle emittenti private di trasmettere via etere in ambito locale, superando di fatto il duopolio della Rai con Rete Uno e Rete Due. Anche la televisione si apre dunque alla concorrenza di un mercato ormai sempre più competitivo e affamato di nuovi prodotti a basso costo in grado di conquistare fette importanti di pubblico.

Quelle che entrarono nelle case sono le avventure di robot dai nomi roboanti e dalle sigle orecchiabili e canticchiabili, i cui testi a dire il vero spesso avevano poco a che fare con i contenuti dei cartoni. Ma questo poco importava.

Annusato l’affare, le Tv private ci si buttarono a capofitto e i cartoni, assieme alle serie di personaggi in carne ed ossa come Dallas o Dynasty, ne fecero la fortuna.

Ciò che invece attirò l’attenzione e destò la preoccupazione delle famiglie fu proprio l’appeal che questa nuova forma di intrattenimento (i cartoni giapponesi) aveva sui più giovani, che di fronte a Goldrake, Mazinga e Gundam “si incantavano” e perdevano qualsiasi contatto con la realtà.

Le prime 25 puntate di Atlas Ufo Robot, come si chiamava la serie di cui erano protagonisti Goldrake e il suo pilota in carne ed ossa Actarus, andò in onda dal 4 aprile al 6 maggio 1978 e il successo di pubblico fu straordinario. Mentre la sigla (“Si trasforma in un razzo missile/ con circuiti di mille valvole/ tra le stelle sprinta e va…”) fu tra i singoli musicali più venduti di quell’anno.

Come sempre “finisce tutto in politica”

Come dicevamo, oggi fa sorridere immaginare come potesse rappresentare un pericolo il potere pervasivo di cartoni animati dalla grafica approssimativa e in cui non accadesse qualcosa di sorprendente almeno ogni 10 secondi, ma allora fu una rivoluzione di costume e, diciamolo, anche culturale.

Contro Goldrake e Mazinga si scatenò un vivace dibattito sui giornali. E, come accadeva e continua ad accadere anche oggi, si finì in politica.

Da sinistra l’alfiere in questa battaglia fu Silverio Corvisieri, esponente importante della sinistra comunista post-sessantottina, cofondatore e dirigente di Avanguardia Operaia, parlamentare eletto con il Partito di Unità Proletaria e come tale componente della Commissione di vigilanza Rai. Scrive Corsivieri nell’articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica il 7-8 gennaio 1979, come con Goldrake «si celebra dai teleschermi, con molta efficacia spettacolare, l’orgia della violenza annientatrice, il culto della delega al grande combattente, la religione delle macchine elettroniche, il rifiuto viscerale del “diverso” (chi viene da altri pianeti è sempre un nemico odioso…)». E fu solo l’inizio…

La crociata di Imola

Perché proprio da Imola partì un’iniziativa contro Goldrake e gli anime giapponesi che i giornali definirono “La crociata di Imola”, capace di sollevare un interessante dibattito nelle famiglie e anche tra intellettuali e politici dell’epoca.

Tutto cominciò con una lettera di protesta inviata da un gruppo di genitori e insegnanti.

L’iniziativa parte dal consiglio di istituto della scuola elementare Sante Zennaro e si diffonde poi a tutte le scuole appartenenti al secondo circolo didattico fino a raccogliere oltre 600 firme. La lettera non viene consegnata solo alle redazioni dei quotidiani locali (Lidia Golinelli seguirà con assiduità per il Carlino le varie tappe della vicenda) ma viene inviata anche al Ministro delle poste e telecomunicazioni e a quello della pubblica istruzione, all’Ansa, l’agenzia di informazione nazionale, al presidente e alla Commissione parlamentare di Vigilanza della Rai.

Ecco il testo della missiva come riportato dai giornali dell’epoca:

«Davanti a certi programmi per l’infanzia colpisce un uso della scienza e della tecnica, della stessa fantascienza legata alla guerra; strumenti sempre più moderni legati al servizio di una società dominata da lotte feudali e nelle mani di un uomo che regredisce dominato da bassi istinti di avidità e di dominio. Perché non capovolgere il messaggio, perché non educare i nostri ragazzi alla convinzione della possibilità (oltre che della necessità) che la scienza e la tecnica diventino strumento di liberazione umana?».

Il documento è significativo perché, come scrive Massimo Nicora in “Manga Academica. Rivista di studi su fumetto e sul cinema di animazione giapponese” (lo potete trovare QUI ed assieme ai giornali è la fonte principale di questo articolo) «per la prima volta, dei genitori, e quindi anche dei telespettatori, trasmettono in maniera diretta le proprie richieste alle autorità competenti nella speranza che queste si adoperino per apportare i cambiamenti necessari alla scelta dei programmi televisivi».

Dopo il clamore suscitato dalla lettera dei “genitori imolesi” i giornali nazionali fecero arrivare a Imola i loro inviati per raccogliere le voci della città.

Uno dei primi a essere interpellati fu il sindaco Bruno Solaroli che benedì la protesta: «Sono completamente d’accordo come sindaco e come padre. Ho una figlia di tredici anni e un ragazzo di dieci invischiati in questa rete». I cartoni giapponesi, risponde ancora Solaroli al giornalista di Repubblica, «li ha prodotti un calcolatore elettronico programmato per fabbricare una merce di successo, che si svendesse sotto forma di film, di fumetti, di giocattoli… che coprisse tutto il copribile e facesse fare tanti soldi a chi ha inventato il trucco […] C’è il pericolo di non capire più niente nel rapporto coi figli […], così rischi di finire repressore: e non è un bel risultato».

Secondo l’allora assessore ai servizi sociali Maria Rosa Franzoni bisognerebbe non solo cambiare le trasmissioni, ma intervenire anche sugli orari di queste ultime in modo da non proporre certi tipi di programmi durante un momento importante come la cena, quando la famiglia si riunisce e genitori e figli possono dialogare tra loro.

Fatto sta che in mezzo a tanto dibattere il processo a Goldrake arriva laddove tutto era cominciato: in Tv.

È il 18 aprile 1980 e la trasmissione  è “L’altra campana”, ideata e condotta dall’amatissimo Enzo Tortora:

Come riferito dal Carlino in edicola quel giorno, negli studi della Rai di Milano vanno in cinque, portavoce della protesta «anti-Mazinga» sono: «un babbo, Mauro Lucchi, due mamme; Annarosa Zuppiroli e Valeria Castaldi, e due insegnanti della scuola elementare Sante Zennaro, Aldo Pelliconi e Maria Teresa Tabanelli»Per “andare alla televisione” partono anche «quattro bimbi elettrizzatissimi e armati dei loro disegni a soggetto più o meno unico (sempre eroi spaziali, naturalmente)», che però non parteciperanno alla trasmissione.

Come è andata veramente a finire beh, lo sappiamo.

 

© Riproduzione riservata

2 commenti su “Quella volta che i genitori di Imola sconfissero Goldrake

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *