La scuola, la formazione e il lavoro secondo Michele de Pascale

Michele de Pascale, sindaco di Ravenna e presidente della Provincia di Ravenna, è il candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Emilia-Romagna alle elezioni del 17 e 18 novembre prossimi. Noi lo abbiamo intervistato sui temi che riteniamo determinanti per il futuro del nostro territorio e che ci stanno particolarmente a cuore. Senza inseguire la polemica a tutti i costi e abbassando i toni, che nelle campagne elettorali sono già sufficientemente alti. Buona lettura!

Organici incompleti, insegnanti ed educatori che arrivano e se ne vanno, edifici scolastici fatiscenti o non a norma… Come mai, malgrado la data di avvio delle lezioni sia fissato con grande anticipo, si ha la sensazione che la scuola parta sempre in emergenza?

Il sistema scolastico è molto farraginoso, molto burocratico, ci sono diverse criticità. E anche delle sperequazioni, perché storicamente l’Emilia-Romagna è, rispetto ad altre regioni, agli ultimi posti per numero di insegnanti in rapporto agli alunni. Uno dei temi sarà quindi colmare questa disparità, pretendendo dallo Stato una maggiore presenza di docenti sul nostro territorio.
Poi c’è un grande tema di riorganizzazione, sì del mondo della scuola ma anche di tutto ciò che ruota attorno ad esso. Si pensi solo al calendario scolastico, di cui si è tanto discusso: la pausa estiva è molto lunga e in quei tre mesi le famiglie sono lasciate un po’ a se stesse. Va riorganizzato il tempo delle attività didattiche, e con esso il tempo di vita dei ragazzi, delle famiglie, insieme al mondo dello sport, ecc…
Il sistema scolastico rappresenta un’eccellenza del nostro Paese, ma necessita di uno scatto e di una riforma importante.

Lei da cosa partirebbe?

Come Regione Emilia-Romagna abbiamo fatto in questi anni un lavoro molto rilevante sulla fascia 0-6 anni, che per le famiglie è centrale. Bene, ora dobbiamo riprendere completamente in mano tutta la formazione tecnica e professionale. In questo ambito in Italia i numeri sono molto bassi rispetto agli altri Peasi europei e abbiamo bisogno di innovazione.
Ad esempio sulle competenze digitali, dove dobbiamo fare un salto di qualità. Stiamo facendo grandi investimenti sull’hardware (supercomputer, mega centri di calcolo, ecc..) ma poi in questi settori rischiamo di non avere la forza lavoro qualificata. E non parlo solo di ingegneri informatici, ma anche per quanto riguarda la formazione tecnica e professionale.

Un problema sempre più urgente per le imprese, lo sviluppo, la crescita professionale e personale dei lavoratori è la mancanza di corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro. Le aziende cercano figure che fanno sempre più fatica a trovare e le persone faticano a realizzarsi. In tal senso ci si attende molto dagli Its, gli istituti di formazione terziaria, che stanno crescendo.

Proverei a ragionare su tre elementi. Il primo è la maggiore qualificazione della nostra offerta formativa, e su questo senso in Emilia-Romagna abbiamo fatto e stiamo facendo molto, con gli Its, con le lauree professionalizzanti, ecc… Abbiamo un sistema dopo la scuola superiore che è in grado di formare e di preparare ad un inserimento sempre più qualificato nel mondo del lavoro.
Ciò detto, tante aziende sarebbero anche dispostissime ad assumere ragazze e ragazzi appena usciti da un Itis, da una scuola professionale, da un corso di formazione professionale triennale, anche facendosi carico direttamente del completamento del loro percorso formativo, ma semplicemente non li trovano. E quindi abbiamo un mismatch.
Premetto che io non sono perché lo Stato, la Regione o i Comuni debbano dire a un ragazzo o a una ragazza cosa devono fare della loro vita, ma penso che una scelta sia autenticamente libera solo se è una scelta informata, se si hanno tutte le informazioni rispetto alle prospettive di lavoro, alle prospettive professionali che poi il ragazzo o la ragazza incontrano là fuori. Quindi sicuramente abbiamo un tema di orientamento. E questo non solo per i profili più elevati, anche per quelli  intermedi.
Poi c’è un altro tema, il terzo, a cui dobbiamo prestare attenzione. Penso che una delle più grandi iniziative condivise da mettere in campo nella prossima legislatura, e su cui investire tanto, sarà una legge sulla natalità. Su questo sono d’accordo. Ma la questione è che noi abbiamo bisogno della forza lavoro domani, oggi, non tra 20 anni, e per questo serve anche un approccio serio e rigoroso al tema dei flussi migratori.
Abbiamo sperimentato il buonismo, che è stato tanto contestato, poi abbiamo sperimentato il cattivismo, che per me è peggio del buonismo e non sta producendo alcun risultato; ora penso si debba entrare nell’era dell’umanità e dell’organizzazione, che significa che a tutte le persone che si trovano sul territorio nazionale va offerta la possibilità di un corso di lingua italiana e di un corso di formazione professionale nei settori di cui abbiamo più bisogno. Chi coglie l’opportunità deve essere incentivato, sostenuto, aiutato dalla Repubblica, perché se si integra e vuole lavorare sta facendo un servizio alla Repubblica. Oggi invece lo Stato va nella direzione opposta, quella delle panchine, delle persone abbandonate nelle piazze, perché servono come totem per alimentare il razzismo. Noi offriremo a tutti coloro che sono in Emilia-Romagna questa opportunità e vedrete che avremo risultati incredibili, sia in termini di integrazione sia di supporto alle imprese e al mondo del lavoro.

Ha firmato per il referendum sulla cittadinanza promosso da +Europa a cui hanno aderito diversi partiti di centrosinistra ma non il Pd, che però ha presentato due proposte di legge sullo ius soli e sullo ius scholae?

Ho firmato. Perché credo che la via crucis che devono affrontare le persone per diventare cittadini italiani sia veramente un controsenso. 

Il sistema degli stage è un’opportunità che spesso non viene sfruttata adeguatamente. Lo stage, il tirocinio, sono interpretati come un obbligo e come una seccatura, oppure come la possibilità di avere qualcuno non pagato a cui far svolgere i compiti più astrusi, il classico “fare le fotocopie”, mentre potrebbero rappresentare un proficuo primo contatto tra giovani e aziende.

Penso che il rapporto tra formazione e lavoro sia un ambito su cui dobbiamo innovare e sperimentare molto. Però dobbiamo guardarci negli occhi: oggi abbiamo una serie di ruoli professionali che sono sottopagati anche quando sono sotto forma di lavoro vero, e che se continuano così rischiano di non essere più attrattivi per nessuno.
Siamo in una fase in cui il paradigma è molto cambiato, in larga parte si è ribaltato: oggi abbiamo enormi settori professionali in cui chi cerca lavoro si trova nelle condizioni di poter scegliere dove lavorare, come lavorare, e se le condizioni non sono quelle che cerca rifiuta il lavoro. Per cui, e non voglio scaricare la questione solo sulle imprese, o mettiamo le persone nelle condizioni di fare esperienze realmente formative ed equamente retribuite, perché il lavoro in fase di formazione è pur sempre lavoro, oppure ci sarà il deserto.

Una cosa di cui ci si rende conto entrando nelle aziende, anche in Emilia-Romagna, è che accanto ad aziende strutturate ed in cui il welfare aziendale è entrato in maniera importante, ci sono altre aziende che ancora sono ai primi passi.

È un tema che va affrontato anche con delle verticalità e delle specificità. E mi spiego con un esempio. Noi oggi abbiamo una conformazione sociale in cui le reti familiari sono molto più deboli: una coppia, entrambi lavoratori, che vuole fare dei figli e viene a lavorare in Emilia-Romagna senza avere delle reti familiari in grado di affiancarli, se non trovano una organizzazione che gli consenta di  gestire la propria famiglia ha due soluzioni, o uno dei due rinuncia a lavorare, oppure a rinunciano a fare figli. L’organizzazione del lavoro si deve intersecare con la vita delle persone.
Abbiamo settori di lavoro povero che, se non facciamo qualcosa, nei prossimi anni andranno completamente in crisi. Pensiamo alla logistica, al sistema della raccolta dei rifiuti, a tutte quelle forme labor-intensive in cui servono tanti lavoratori che vengono pagati pochissimo e che svolgono mansioni poco gratificanti. Un sistema che salta se è basato su tanta manodopera poco retribuita.
Poi abbiamo settori professionalizzati per cui, o in questa terra siamo in grado di garantire condizioni di vita, di lavoro, di organizzazione del tempo compatibili con i desideri, i sogni, la felicità delle persone altrimenti non siamo competitivi. Queste persone inevitabilmente andranno a lavorare in altre zone del mondo, e non dico d’Italia perché non penso che ci siano tanti altri luoghi in Italia che da questo punto di vista siano meglio dell’Emilia-Romagna.
Oggi ci sono multinazionali che ti offrono il lavoro in Italia in totale smart per Londra, per cui non hai più il tema “scelgo di rimanere qui o di andare a Londra?”; quelle figure professionali rimangono a vivere in Italia ma il sistema produttivo del territorio si impoverisce e si svuota completamente. Per cui dobbiamo mettere in campo situazioni che migliorino la qualità della vita per chi lavora, è nell’interesse delle imprese.

Come valuta il recente disegno di legge sulla scuola che, tra le altre cose, ha aumentato il peso del voto in condotta e ha introdotto provvedimenti più punitivi nei confronti di chi reagisce e aggredisce il personale scolastico.

L’atteggiamento generale sulla sicurezza di questo Governo lo ritengo molto demagogico. E credo che se a qualunque cittadino italiano chiedi se negli ultimi due anni ci sono stati miglioramenti della sicurezza reale e percepita dalle persone la risposta sia “no”. Il governo che ha raccolto il consenso popolare proprio sull’aspettativa di sicurezza non ha fatto nulla per migliorare su questo aspetto. Nella scuola vediamo lo stesso atteggiamento, la voglia di un ritorno alla scuola delle frustate e delle bacchettate sulle mani.
Detto questo, e vale per l’ambito scolastico come per quello sanitario, è innegabile che stiamo assistendo a fenomeni di violenza verbale e fisica nei confronti di chi lavora nei servizi pubblici essenziali che reputo molto preoccupanti. Il tema delle aggressioni nei confronti degli insegnanti, così come nei confronti di medici e infermieri, purtroppo è un tema vero, sul quale si deve agire sia sul versante della repressione sia sul versante della prevenzione. C’è un ambito amministrativo e uno culturale di rispetto e riconoscimento sociale per chi si occupa di istruzione e di salute che deve diventare uno dei cardini della narrazione politica.

E della petizione che chiede di vietare l’utilizzo dello smartphone sotto i 14 anni e dei social sotto i 16 anni cosa pensa?

Ne capisco le ragioni, ma temo che quel che si debba fare sia educare, orientare, offrire alternative positive. Perché non so se potremo mandare in ogni casa un carabiniere a controllare se un ragazzo ha uno smartphone in mano. Non vorrei che alla fine si riveli una foglia di fico rispetto ad un tempo che sta cambiando e con cui bisogna fare i conti. Se non ci si confronta con la vita reale si va poco lontano.

Non è la stessa cosa con alcol e sigarette, che sono vietati sotto una certa età ma nessuno manda i carabinieri nelle famiglie a verificare se i ragazzi fumano o bevono?

Sotto una certa età l’alcol è un male assoluto, mentre credo che la tecnologia in linea di principio non sia né un male né un bene. È l’uso che se ne fa che è giusto o sbagliato. Pensare che si riesca a impedire a un ragazzo con meno di 14 anni di avere accesso alla tecnologia mi sembra più un’enunciazione di principio che una cosa che possa realmente accadere. Forse le energie bisognerebbe concentrarle su come un ragazzo usa questa tecnologia.

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