di Federico Spagnoli
Restaurare una fiaba giapponese (secondo me)
Sulle rive del Mar del Giappone viveva, una dozzina di secoli fa, un pescatore prodigio chiamato Urashima, il quale era conosciuto da tutti per la sua inarrivabile abilità nel calare le reti e ritirarle piene dei pesci più prelibati. Un giorno di primavera, nel controllare le reti gettate, Urashima notò che una di queste non aveva tra le maglie i soliti pesci che vendeva al mercato, bensì una meravigliosa tartaruga marina che, una volta portata al villaggio, gli avrebbe certamente fruttato un bel gruzzolo. La nostra storia vuole, tuttavia, che Urashima fosse un ragazzo dotato di buon cuore e che le lunghe grinfie dell’avidità non lo sfiorassero affatto.
– Cosa ne sarebbe di me se uccidessi questo splendido animale che si dice possa vivere per migliaia di anni? Mai sarò tanto crudele, mia madre certo non approverebbe.
Fu così che Urashima liberò la tartaruga dalla rete e la rigettò in mare, dove sparì tra le creste delle onde. Stanco per il grande sforzo, siccome la tartaruga pesava molto, il ragazzo si distese sul fondo dell’imbarcazione e si addormentò cullato dalla brezza marina.
Quando si svegliò dal riposo, non potè credere ai propri occhi: seduta sulla sua barca, a pochi passi da lui, vi era una bellissima fanciulla con pelle di porcellana ed occhi blu come zaffiri.
– Chi sei tu? Come sei arrivata sulla mia barca?
– Salute, Urashima. Io sono la figlia del Dio del Mare e provengo dagli abissi più profondi, dove vivo con mio padre all’interno del palazzo dei Draghi. Devi sapere che la creatura che poco fa hai pescato e che tanto gentilmente hai restituito, non era una vera tartaruga, ma io stessa. Mio padre è solito trasformarmi in questo animale per vedere se i pescatori sono esseri buoni o cattivi. La tua fama è giunta fino a noi!
La fanciulla parlava dolcemente, sfiorandosi i capelli con le dita, ed Urashima ascoltava estasiato.
– Ora, noi sappiamo che hai un cuore buono e generoso, e che non ti si addice uccidere le creature del mare per puro divertimento. Per questo motivo mio padre sarebbe il più felice dei sovrani se noi due ci sposassimo: se accetterai, potremmo vivere insieme in perfetta armonia con il mare, e per mille anni soggiornare nel nostro meraviglioso palazzo dei Draghi, dove l’acqua e la notte sono una cosa soltanto.
Ascoltando queste parole, Urashima si accorse che il neonato amore che provava per la fanciulla eguagliava il sentimento che aveva sempre riservato a qualsiasi tipo di avventura.
– Sta bene. Verrò con te e per mille anni vivremo felici e contenti.
Dunque prese un remo, la figlia del Dio del Mare afferrò l’altro, ed insieme iniziarono a remare verso l’orizzonte. Il palazzo dei Draghi era molto lontano e i due remarono per tutta la notte e tutto il giorno seguente, fino a quando, al calare della sera, dinanzi a loro si parò il Regno del Dio del Mare, che regnava sui draghi, le balene ed ogni tipo di pesce esistente. Non appena Urashima vide il palazzo gridò in preda alla meraviglia: le pareti erano di corallo; gli alberi avevano smeraldi per foglie e rubini per frutti; tutt’intorno guizzavano pesci d’argento di ogni forma e dimensione, che luccicavano al pari delle code dei draghi, fatte d’oro massiccio. Un luogo simile non si può immaginare nemmeno nel sogno più straordinario, pensò Urashima. Per di più, sarebbe diventato lo sposo della fanciulla più bella che avesse mai visto, la figlia del Dio del Mare, e dunque tutto ciò che vedeva sarebbe appartenuto anche a lui.
Il matrimonio venne celebrato nella Grande Sala, dove riuniti vi erano tutti gli dei minori del mare, che onorarono i due porgendo a questi doni bellissimi. Iniziò quindi la nuova vita della coppia, che ogni giorno passeggiava per il Regno e riceveva gli omaggi delle creature marine, sulle quali regnavano. Passarono molti anni, dove mai mancarono gioia ed amore reciproco, ma arrivò il fatidico giorno in cui Urashima sentì, più forte che mai, la nostalgia del proprio paese, della propria gente, della propria casa e famiglia; di cui, come il lettore potrà immaginare, non sapeva più nulla.
– Cara, io qui mi trovo benissimo e quando ti vedo sono più felice che mai, tuttavia sento il desiderio di voler tornare a casa, per ritrovare mia madre, i miei fratelli e le mie sorelle. Per loro ero più che un figlio o un fratello, con le mie reti procuravo da mangiare a tutti e non vorrei che la mia decisione di seguirti li avesse ridotti alla fame. Come posso vivere tra agi e ricchezze sapendo che loro soffrono per la mia partenza? Spero che tu possa capirmi, e che mi lascerai restare da loro per qualche tempo. Tornerò, ci puoi contare.
– Urashima, non posso mostrarmi felice di questa tua idea di partire siccome sei il mio sposo ed io vorrei averti sempre al mio fianco perché ho paura che qualcosa di spiacevole possa accaderti. Ma come ben sai, anche io al pari tuo sono una persona di buon cuore, e quindi non posso trattenerti se il tuo desiderio è quello di rivedere i tuoi cari. Ti darò una scatola magica, affinché tu possa sempre sentire la mia presenza, ma prima devi promettermi che mai, per nessuna ragione al mondo, aprirai la scatola: se non farai come ti ho detto, non potrai mai più tornare da me. Ricordalo!
Urashima non ci pensò due volte, e promise alla fanciulla di custodire con grande cura la scatola magica, stando ben attento a non rivelarne il contenuto. Quindi salì sulla barca con la quale, anni prima, erano giunti insieme al palazzo dei Draghi, e si mise a remare in cerca della costa giapponese.
Erano passati due giorni e due notti, quando finalmente Urashima riconobbe gli scogli dai quali era solito pescare, le montagne che osservava seduto sulla barca ed il piccolo fiume che s’immetteva nel mare tagliando il suo villaggio a metà. Ne risalì il corso remando con grande impegno, arrivando fino alla sponda dove la sua mamma era solita lavare i panni. Non vi trovò anima viva. Prese a correre tra le case, ignorando il fatto che sembravano abbandonate da un pezzo, ed una volta resosi conto di avere perso tutto, non poté fare altro che sedersi a terra, piangendo disperatamente con la testa tra le mani. Passarono di lì – come miraggi – due uomini anziani, i quali si accorsero del giovane e gli si avvicinarono.
– Ragazzo, deve esserti accaduta una tale disgrazia! Cosa è successo?
– Per favore, signori, sono alla ricerca della famiglia di Urashima, il pescatore di questo villaggio. Sapreste dirmi dove si trovano sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle?
– Urashima?! Sono secoli che il giovane Urashima è morto annegato pescando, così come da tempo sono morti anche i suoi parenti, i nipoti, ed i nipoti dei nipoti. Come puoi ricordarti di lui e della sua gente? Sono centinaia di anni che il villaggio è caduto in rovina e, come puoi vedere da te, di esso non restano che polvere e pietre.
Triste e sconsolato, Urashima pensò al Regno del Dio del Mare, al palazzo dei Draghi ed alla sposa che aveva abbandonato: appartenevano tutti ad un mondo fatato dove i giorni avevano la durata di un anno. Si guardò intorno, per un’ultima volta, e comprese che nulla – a quel punto – più lo legava alla terra dove era cresciuto, perché i suoi parenti ed i suoi amici erano scomparsi da tempo ed il suo nome era noto agli uomini soltanto sotto forma di leggenda. Lo sguardo gli cadde – piuma – sul mare azzurro, e dunque desiderò fare ritorno dalla fanciulla. Ma come tornarvi? La via d’accesso era nota soltanto alla figlia del Dio del Mare, e certo è che lui non avrebbe mai potuto indovinarla. Prese quindi la scatola magica ed iniziò a rigirarsela tra le mani, componendo e scomponendo le fattezze di un pensiero.
– La mia sposa mi ha detto di non aprirla, per nessun motivo, ma forse è proprio qui dentro, all’interno di questa scatola magica, la chiave per fare ritorno al suo cospetto. Aprendola ritroverò il cammino perduto.
Urashima disobbedì all’ordine della sua sposa ed aprì con vigore la scatola, dalla quale uscì una nuvola celeste che prese a volare in direzione del mare. Scattò quindi in piedi, implorandole di fermarsi, e si mise a correre dietro a quella nuvola che tanto gli ricordava la spuma delle onde; ma invano.
Non avrebbe più rivisto la sua fanciulla, il Regno del Mare, il palazzo dei Draghi, e l’acquisizione di questa consapevolezza lo sfinì a tal punto che perse le proprie forze e la propria voce.
All’improvviso i suoi capelli si ritirarono, diventando sempre più bianchi, il viso venne scalfito da rughe spesse e profonde, ed il suo corpo cadde con un tonfo sul legno della barca con la quale era partito, tanti anni prima, verso il mondo dei sogni.