di Andrea Pagani
C’è un passo, un ritmo, un respiro nelle pagine di Ermanno Cavazzoni che ha qualcosa di magnetico ed irresistibile, qualcosa di ipnotico e contagioso, nel prendere le mosse, osservare, concentrarsi sulle minute occasioni della cronaca, su un fatto quotidiano in apparenza sbiadito ed irrilevante (quello che da alcuni, forse non del tutto pertinentemente, è stato definito una sorta di “minimalismo”), per poi amplificarlo in una serie di congetture e riflessioni, di eventi narrativi, di situazioni a metà strada fra il grottesco, il comico e il paradossale.
È una forza visionaria e immaginifica, dotata senza dubbio d’una notevole dose d’estrosa genialità, che Cavazzoni mutua dal magistero di Gianni Celati, e probabilmente ancor prima da un filone letterario che parte dal primo Novecento e che prende il nome di “realismo magico” (Savinio, Bontempelli, Buzzati, Landolfi, De Chirico), ma che in lui assume una carica evocativa, un’intensità fantasiosa, addirittura un lirismo inventivo davvero potenti.
Qui si gioca, dicevamo, l’incantamento contagioso di Cavazzoni: nel tenerci per mano lungo un’avventura che, all’inizio, nel perimetro sbiadito della logica e della ragione, può apparirci inverosimile, ma che, nell’inesauribile talento creativo di queste pagine, diventa verosimile, plausibile, addirittura piacevole.
È questo uno (ma non il solo) degli elementi del fascino del Manualetto per la prossima vita (Quodlibet, Macerata, 2024), un libro che esordisce con alcuni elementi improbabili (il “vantaggio” di conoscere la data della propria morte, la “possibilità” di evitare i miracoli, una specie di “extraterrestri truffatori”,…), per poi sviluppare, attorno ad essi, una spirale vertiginosa di riflessioni, idee, situazioni che acquisiscono una dimensione universale.
Arriviamo così ad intuire l’originalità e il senso della narrativa di Cavazzoni, la forza di dare respiro generale al particolare, di allargare una riflessione sull’umanità partendo dal microscopio, ovvero, come lui stesso dichiara, «meditare sulle più tipiche fatali propensioni dell’umanità».