Ecco cosa succede se gli pneumatici di scarto diventano una risorsa

Questa è una delle più grandi discariche di pneumatici al confine tra Stati Uniti e Messico.

E questa un’immagine dell’incendio scoppiato nel 2016 in una discarica di pneumatici vicino a Toledo, in Spagna.

Il problema è globale

“Houston abbiamo un problema”, anzi due.

Il primo sono gli pneumatici a fine vita: ogni automobile sulla terra ha almeno quattro gomme, e se tutta quella gomma non viene trasformata in qualcos’altro e recuperata deve essere bruciata o finire in discarica, con gli effetti mostrati da quelle immagini.

Il secondo problema è che la domanda mondiale di pneumatici cresce del 7-8% ogni anno e che produrre pneumatici nuovi è un’attività particolarmente energivora. Tutto questo mal si concilia con la sostenibilità di cui il nostro pianeta ha invece tanto bisogno per sopravvivere.

La tecnologia

Se non li vogliamo ammassare o seppellire in un remoto deserto del terzo mondo, una prima possibilità per dare una fine a tutti quegli pneumatici è l’incenerimento. Cioè bruciarli in un inceneritore e ricavarne energia sotto forma del calore prodotto. Come avviene per ogni altro materiale, anche dalla combustione della gomma si originano però dei fumi e resta comunque una parte solida che alla fine deve essere smaltita.

Se invece porto la gomma a temperature più basse rispetto alla combustione, 500-550 gradi, e nell’ambiente di trattamento non metto ossigeno ma azoto, la combustione non avviene. L’energia fornita, che come sappiamo dai tempi della scuola non si crea e non si distrugge, inizia però a scindere i legami chimici che tengono assieme le molecole complesse della gomma trasformandole in molecole più semplici.

Questa tecnologia si chiama pirolisi.

I gas che si generano possono essere impiegati direttamente per alimentare il forno in cui avviene la scissione dei legami molecolari, come autoconsumo, e così la pirolisi di fatto si autoalimenta. Mentre la parte solida che rimane, minima, può essere bruciata in maniera controllata. Con questa ultima soluzione si va a combinare la pirolisi con la gassificazione e si parla di piro-gassificazione.

In sostanza: cuocio l’arrosto in forno e completo la cottura con un colpetto di grill.

Con la combinazione di pirolisi e gassificazione posso arrivare a recuperare il 99% della materia: il 30% diventa nerofumo impiegato come additivo nell’industria della gomma, il 35%, la componente liquida, viene utilizzata come ecodiesel, il 17% è acciaio che può essere re-impiegato, mentre la restante parte, il syngas, come abbiamo detto serve per abbattere il consumo di energia  degli impianti.

Dalla tecnologia all’impianto

Su questa tecnologia la Curti detiene sei brevetti: due riguardano la camera in cui viene effettuata la pirolisi e quattro interessano il processo di recupero termico nella piro-gassificazione, così da abbassare gli autoconsumi e mantenere l’atmosfera inerte per un lungo periodo.

Nell’azienda con headquarter a Castel Bolognese la circular economy è entrata prestissimo. Già nel 2006, infatti, all’attuale amministratore delegato, Alessandro Curti, venne l’intuizione che recuperare energia e materie prime seconde sottoponendo il materiale di scarto a speciali trattamenti era possibile, utile e anche scalabile dal punto di vista imprenditoriale.

Eugenio Guerrieri alla Curti è direttore delle Business unit Circular Economy (foto di gruppo) e Packaging Solutions, nonché amministratore delegato della FamarTec; trasversalmente, nel gruppo gestisce le tecnologie innovative. 

Racconta Guerrieri come nel caso della pirolisi degli pneumatici, e come è d’abitudine in azienda, si agì con metodo galileiano: partendo dall’originaria intuizione furono fatte le prime prove e quindi formulata un’ipotesi; validata la teoria attraverso una serie notevole di esperimenti, si arrivò ai brevetti. Perché, chiosa, «l’innovazione non è uno strappo ma l’applicazione di competenza e concretezza».

L’impianto pilota a Faenza venne realizzato anche grazie ai fondi di un bando regionale. Qui, nei laboratori di Romagna Tech, fu sottoposto a una campagna di sperimentazione con oltre 900 prove, mentre già si guardava il prototipo in un’ottica di sviluppo industriale.

In Slovenia, no, in Spagna

Il passo successivo fu un progetto per un impianto “vero” da realizzare in Slovenia. Non se ne fece nulla, ma da parte del governo sloveno l’impianto venne riconosciuto come depolimerizzatore, e non come un inceneritore, validando così una carta d’identità che finì per funzionare come passaporto per l’accesso ad altri Paesi europei.

Il primo vero impianto industriale è stato realizzato nel 2019 in Spagna, in una ex zona mineraria della Castilla-La Mancia (Don Chisciotte!). Qui impegna 38 persone e lavora 27mila tonnellate di pneumatici l’anno, 24 ore su 24. Per dare l’idea di come l’oceano sia ancora vasto, parliamo di appena l’8% del fabbisogno di smaltimento annuo della sola Spagna.

L’inaugurazione dell’impianto realizzato in Spagna, marzo del 2023.

Per altri otto progetti in Europa (ulteriori due in Spagna), Giappone e Centro America è stato avviato il percorso per ottenere i permessi e costruire le partnership necessarie alla realizzazione di nuovi impianti.

Oggi questa tecnologia che dà una seconda possibilità alla materia, e di cui Curti possiede i brevetti, è riconosciuta come quella di riferimento perlomeno a livello europeo.

La Curti ha le carte in regola per diventare leader nel mondo, ma non da sola. C’è infatti la consapevolezza di come per funzionare e sviluppare nuovi impianti di piro-gassificazione e recupero degli pneumatici sia fondamentale costruire relazioni con istituzioni locali e nazionali. E che occorra essere inseriti come anello all’interno delle filiere (petrolio, industria chimica, ferro) in cui la materia di scarto delle produzioni esce e rientra una volta recuperata. 

Per cui, lavori in corso…

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