A Imola c’è un cantiere speciale, perché ha il compito e la responsabilità di salvare dallo scorrere del tempo e di restituire alla città il suo monumento storico più bello e significativo: è il cantiere per il restauro della rocca sforzesca.
La rocca è chiusa al pubblico dal principio del marzo scorso, e dalla primavera sono state montate le impalcature che attualmente coprono la facciata sud. Per intenderci, quella che guarda il chiosco Caffè della Rocca.
Il progetto di restauro è stato finanziato con i fondi del Pnrr e con risorse comunali per complessivi 5,2 milioni di euro.
Ad aggiudicarsi l’appalto è stata la Cims (Cooperativa intersettoriale montana di Sassoleone). A dirigere il cantiere è l’architetto Emanuela Morigi.
Un cantiere speciale
Il cantiere che consente ad una fortezza medioevale non solo di sopravvivere al tempo, ma di continuare ad essere sede di incontri, concerti, spettacoli, proiezioni cinematografiche e lancio di fuochi artificiali, non è un cantiere come tutti gli altri. Con i cantieri spuntati come funghi grazie ai vari bonus dell’edilizia ha poco o nulla a spartire. È, come si dice, un altro lavoro.
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Oltre all’intera facciata sud, comprese le due torri nell’angolo est e nell’angolo ovest con tanto di coperture, il restauro è previsto per il camminamento sul lato del ponte levatoio, per la copertura del museo con il rifacimento dei solai, per il mastio su tutte le sue tre facciate. Al termine dei lavori saranno in funzione anche gli impianti nuovi e tre ascensori dotati di piattaforme per i disabili.
Prima di mettere mano alle murature lesionate che sono all’interno della rocca vengono eseguite delle stratigrafie che consentono di verificare se ci sono dei lacerti pittorici che potrebbero essere stati nascosti da intonaci e tinteggiature. Si tratta solo di una delle tante scoperte che si possono fare in corso d’opera quando l’opera è una fortezza del ‘400 che nel tempo è stata un carcere, una sede di musei e mostre, un luogo aperto al pubblico. Quando si mette mano a un edificio vecchio di secoli le sorprese sono all’ordine del giorno.
Le condizioni climatiche, poi, dettano i tempi, ad esempio se piove non si possono stendere le malte dell’intonaco. Ma anche se «il restauro e la fretta non vanno d’accordo», quando ci sono delle scadenze, in questo caso la rendicontazione dei fondi Pnrr, occorre che tutto funzioni come in un’orchestra, che tutto proceda senza sbavature. Cosa nient’affatto semplice, «soprattutto – come sottolinea il direttore tecnico di cantiere – quando non hai il controllo totale, come avviene nei grandi lavori fatti da interventi e fasi di cantiere diverse».
Ma come si ristruttura una rocca del ‘400?
Ma come si “ristruttura” una rocca del ‘400, un luogo in cui hanno incrociato il loro destino personaggi come Niccolò Machiavelli e Leonardo da Vinci, una fortezza che nel tempo è mutata, fortificata per resistere all’evoluzione delle armi con cui veniva presa d’assalto, colpita dalle catapulte e dalle bombarde, soggetta agli agenti atmosferici e anche all’invadenza dei capperi?
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Di certo non si improvvisa. Come spiega Ada Foschini, restauratrice e titolare del Laboratorio del Restauro di Ravenna, che per conto di Cims sta conducendo l’opera di restauro specialistico, occorre avere dimestichezza col restauro di edifici storici, chiaro. Ma occorre anche la consapevolezza che «ti viene affidato un bene che è un unicum, con delle specificità storiche, architettoniche e costruttive diverse e originali. Avverti quindi questa grandissima responsabilità e parti indagando il bene sia dal punto di vista storico che materico, con l’obiettivo di fermare il degrado e cercare di restituire la conservazione dell’edificio, senza aggiungere nulla di personale e di soggettivo. La nostra funzione è conservare e trasmettere alle generazioni future».
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Solo per citare alcuni interventi e senza allontanarci troppo, Foschini e la sua squadra (alla rocca di Imola sono sei i restauratori al lavoro) hanno riportato al loro splendore luoghi ricchi di storia e di bellezza come la chiesa di San Giacomo Apostolo, nel complesso dei Musei di San Domenico di Forlì, e la rocca delle Camminate di Meldola; mentre a Lugo si sono occupati del Teatro Rossini e del Monumento a Baracca. C’è poi lo zampino del Laboratorio del Restauro anche nel recupero dei cicli decorativi e dei pavimenti del seicentesco palazzo Guiccioli, recentemente restaurato per ospitare il museo che Ravenna ha dedicato a Byron e al Risorgimento. E a Imola negli anni ‘90 Foschini seguì il restauro di palazzo Tozzoni.
La rocca di Imola è sicuramente un unicum anche per altri aspetti che risultano tutt’altro che secondari quando ci si appresta a montare le impalcature. Ha infatti una monumentalità straordinaria, è pressoché integra e sorge nel cuore della città. Aspetti che la pongono sotto gli occhi di tutti.
La rocca di Imola è un unicum
«Si restaura solo la materia dell’opera d’arte» (Cesare Brandi)
Imola è sempre stata un centro di fornaci e quindi il mattone non è mai mancato. Di conseguenza il materiale usato per la costruzione della rocca è il mattone rosso d’argilla cotta. Per avere un maggiore spessore e renderle più robuste agli attacchi portati dall’esterno, le murature venivano poi riempite di materiale di ogni tipo.
Il mattone è esteticamente bello, ma l’argilla ha la caratteristica che col tempo la sua superficie perde compattezza e diventa porosa. In questo modo si espone all’erosione portata dagli agenti atmosferici e dagli attacchi biologici, mentre le fughe tra un mattone e l’altro si sfaldano.
Lo stato di conservazione dei mattoni era variegato. Dove era più soggetto all’inquinamento e alla caduta dall’alto delle acque non regimentate, ruscellamenti e concrezioni calcaree hanno creato zone fertili per il degrado.
Oltre ai mattoni, nella rocca è stata impiegata l’arenaria, una pietra grigia molto friabile su cui occorre operare con cautela e perizia. Tendenzialmente si procede a ripulirla dagli inerti e dalle scaglie non compattate. Successivamente si passa al consolidamento delle porzioni che rischiano di crollare inserendo nelle fessure, a pennello, del silicato di etile. Per evitare che il pennello vada a rimuovere del materiale si sovrappone della carta giapponese. Alcune parti di arenaria, originarie, erano però molto consumate e senza supporto, tanto che in alcuni casi si è scelto di creare delle mensole di acciaio poste in opera “ad hoc” di supporto all’arenaria. Una volta che si è consolidata la superficie, si passa alla pulitura ad impacco per rimuovere le incrostazioni.
..e i capperi?
La natura, si sa, se è lasciata libera di agire un po’ alla volta prende il sopravvento e si impossessa dei manufatti dell’uomo.
Le piante di capperi sono estremamente belle e romantiche, in particolare nel momento della fioritura. Per la tutela dei monumenti sono invece un problema. Sulla rocca di Imola i capperi si sono ambientati molto bene, non c’è che dire, tanto che i restauratori hanno dovuto fare i conti con delle radici che correvano dentro le stuccature, erodendole, anche per decine di metri.
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La delicatissima fase di stuccatura
«Il restauro deve mirare al ristabilimento della unità potenziale dell’opera d’arte, purché ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o un falso storico, e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell’opera d’arte nel tempo». (Ancora tratto dalle massime dello storico dell’arte e restauratore Cesare Brandi)
Infine si arriva alla stuccatura, con cui sigillare le fessure che altrimenti potrebbero essere causa di nuovi danneggiamenti. E qui si entra nella fase più delicata. Proprio le stuccature sono quelle che determinano maggiormente l’aspetto complessivo del restauro, quello che risalta subito, a colpo d’occhio. E quindi quello che all’uomo della strada, all’umarell, farà dire “o che bel restauro!” oppure esclamare “ma che hanno fatto?!”.
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Vista la rilevanza della scelta, si fanno prove su prove. Sempre sotto lo sguardo della Soprintendenza. Si cerca di trovare la tonalità e soprattutto la granulosità giusta.
Le superfici da trattare sono tutt’altro che uniformi dal punto di vista della tonalità e dell’ampiezza delle fughe da stuccare. La più complessa è proprio la parete sud. È infatti la più esposta all’irraggiamento del sole e quella dove sono più evidenti i segni di offesa delle bombarde. In certi punti la malta non esiste praticamente più e tra un mattone e l’altro si può entrare con una mano. In questi casi le stuccature vengono “armate” inserendo delle barre elicoidali in acciaio inox.
Ada Foschini cita Marguerite Yourcenar, “Il tempo, grande scultore”. «Tornare indietro – dice – non è possibile, nemmeno per i beni architettonici. I secoli hanno aggiunto una coloritura che non è quella originaria. Nella parte bassa della rocca di Imola sono stati accesi dei fuochi di cui si vedono i segni, in altre parti ci sono mattoni più violacei. Nel restauro devi dare una veste complessiva. Personalmente mi dispiacciono molto i restauri “esasperati”, dall’aspetto “finto”, dove tutto deve essere accattivante, vivace, definito e restituire immediatamente delle immagini suggestive. Dobbiamo tenere quello che abbiamo e cercare di conservarlo, tramandarlo rispettandolo, senza creare un falso storico».