Ciò che abbiamo capito dell’intelligenza artificiale generativa è che è tante cose diverse, che non è una novità ma la potenza di calcolo sviluppata negli ultimissimi anni ne ha amplificato a dismisura le possibilità, e che al momento la si utilizza prevalentemente per fare meglio, più velocemente, con maggiore efficacia e a costi più bassi quello che già sappiamo fare, mentre molto probabilmente la vera rivoluzione verrà da quello che ancora non sappiamo di poter fare.
Assieme a Fabio Poli, managing director di Gellify, piattaforma che supporta le aziende nei processi di innovazione e trasformazione digitale con sedi a Milano, Bologna e Imola e uffici in Spagna, Brasile e in Medio Oriente, abbiamo cercato di capire quanta e quale intelligenza artificiale è presente sul nostro territorio, quali sono le applicazioni richieste dalle aziende, e come ci si sta attrezzando per sfruttare le potenzialità di questa annunciata rivoluzione digitale. Insomma, fotografare “lo stato dell’arte” dell’AI “tra Bologna e Ravenna”.
«Dove oggi l’intelligenza artificiale è già una realtà – spiega Poli – è nelle applicazioni che riguardano tutti i lavori ripetitivi di gestione documentale e di automazione industriale, ambiti in cui fin da subito il costo è minimo rispetto al risparmio che è possibile ottenere dall’introduzione di sistemi di AI».
E in questo non c’è differenza tra i diversi settori produttivi: la gestione di mail e documenti, così come di gare, appalti, la gestione del personale, i rapporti con il cliente, la raccolta e l’analisi di documentazione, ecc… sono tutte operazioni trasversali, comuni ad attività di settori diversi.
«Non c’è procedura legata a quella che chiamiamo amministrazione, in qualsiasi ambito, si tratti di un’azienda privata o di un’azienda pubblica, che non possa essere ottimizzata: l’Ai gestisce i dati con una velocità tale che una persona riesce a fare quello che prima facevano in quattro».
Customer care
La comunicazione interna
«Purtroppo le aziende spesso lavorano a silos. Una divisione non sa dell’altra, e l’ufficio commerciale non conosce quello su cui sta lavorando l’ufficio tecnico. Prendere le basi dati delle diverse divisioni, metterle insieme e restituire a tutti le conoscenze a disposizione, è tanto banale quanto innovativo. Se un ufficio tecnico ha incontrato un problema e lo ha risolto, questa informazione dovrebbe arrivare ai commerciali, che così potrebbero migliorare nella preparazione della loro offerta. Allo stesso modo, se c’è un problema dal punto di vista commerciale l’ufficio tecnico dovrebbe saperlo. Oggi purtroppo spesso non è così».
In questo caso l’innovazione in cosa consiste? Prendo tutti i manuali e il materiale dell’ufficio tecnico, i ticket aperti dal customer care, gli spunti che mi ha dato l’ufficio vendite. In questo modo ho a disposizione una mole enorme di dati che posso caricare nel motore di intelligenza artificiale, che li elabora e offre un supporto molto più efficace per prendere le decisioni, o addirittura posso scegliere di generare una risposta automatica.
Come funziona
La macchina prende in pancia i dati forniti dall’azienda, li elabora e offre un supporto decisionale oppure fornisce autonomamente una risposta.
Nella maggior parte dei casi viene sviluppato per le aziende un sistema ibrido che utilizza direttamente un motore di OpenAI (non la versione consumer di ChatGPT) o di uno degli altri noti produttori di sistemi di intelligenza artificiale sul mercato, istruendolo con i dati dell’azienda.
Oggi Gellify sta passando ad una formula diversa valutando dove possibile di appoggiarsi a centri di calcolo europei, come ad esempio Leonardo, il supercomputer del Cineca. I modelli e gli algoritmi sono simili a quelli delle big tech americane ma in questo modo i dati sono lavorati e gestiti dal consorzio interuniversitario italiano e non da una multinazionale straniera.
E le piccole e medie imprese?
Come avviene spesso con le innovazioni, imprese grandi e strutturate arrivano prima delle imprese più piccole che hanno minori risorse a disposizione. In un sistema economico basato sulla subfornitura come è quello presente nel nostro territorio, l’innovazione viene trasferita dalle aziende più grandi alle più piccole, perché queste ultime sono chiamate ad adeguarsi ai nuovi standard. Con l’AI però il trasferimento tecnologico non è così scontato.
«Oggi l’intelligenza artificiale non ti permette tanto di erogare un servizio di qualità superiore, quanto di poterlo fornire ad un costo molto inferiore. Alla grande azienda se il tuo servizio di customer care è fatto dall’intelligenza artificiale o da una persona fisica interessa relativamente. Sarà la subfornitrice ad essere costretta ad affidare all’AI il suo customer care perché quel risparmio le è necessario per rimanere competitivi, per sopravvivere. Purtroppo la mia sensazione è che oggi, non avendo all’interno figure dedicate a ricerca e sviluppo, siano ancora poche le piccole-medie imprese che si stanno muovendo in quella direzione».
Chi ha seminato raccoglierà
Oggi non c’è azienda che non dichiari di utilizzare una qualche forma di intelligenza artificiale. Se vai a vedere quello che trovi è spesso un chatbot estremamente banale, artificiale senza dubbio, ma dell’intelligenza beh, parliamone…
La percezione è che con l’intelligenza artificiale a raccogliere sarà chi ha seminato negli anni.
«Se ti sei dotato di un ufficio ricerca e sviluppo dieci anni fa, sei pronto ad affrontare le sfide che l’innovazione ti propone e ti impone. È questione di cultura. Vale per l’AI ma vale anche per l’industria 4.0, per cui molte aziende hanno “scimmiottato” l’innovazione, si sono dotate di macchinari nuovi ma non li hanno mai connessi in rete, e in questo modo non hanno mai effettivamente sfruttato il grande beneficio che si può ricavare dalla raccolta dei dati. E l’AI darà un grande beneficio a chi ha raccolto i dati».
Non è una rivoluzione, bensì un’evoluzione che ha subito una accelerazione molto importante. L’intelligenza artificiale non va demonizzata ma capita e cavalcata.
«Ciò che dico sempre – conclude Poli – è che il grande investimento che le le aziende dovrebbero fare è sulla cultura del cambiamento. Persone più brave e preparate di me dicono che il 20-30% dei lavori che facciamo oggi tra dieci anni non esisterà più. E i mestieri che non spariranno cambieranno anche di molto. Che tu faccia l’ingegnere aerospaziale o il panettiere, oggi non esiste più la possibilità che nel tuo lavoro vivrai per sempre di rendita grazie alle conoscenze apprese all’inizio della carriera. Se le persone sono propense al cambiamento, se sono pronte e preparate a cambiare, il cambiamento non le spaventa».