Perché fare formazione digitale in carcere è giusto e importante

di Milena Monti

In sole dieci parole, Pro.Digi è un progetto di formazione digitale rivolto ai detenuti. Ma innanzitutto precisiamo che è più corretto parlare di persone in esecuzione penale interna o esterna, oppure sottoposte a misure di comunità o alternative alla detenzione (la detenzione domiciliare, l’affidamento in prova al servizio sociale e la semilibertà).
Ma cosa significa fare formazione in carcere (o in comunità) e perché è un fatto giusto e importante? È una lunga storia, che di seguito raccontiamo. Ma prima, due ovvietà – che non sempre sono ovvie alla stessa maniera.

Ovvietà #1

La detenzione, a seguito di reato, priva o riduce le libertà delle persone recluse; l’ordinamento penitenziario italiano, legge 354 del 1975, prevede le regole e le limitazioni da rispettare (ad esempio il divieto di comunicare liberamente con l’esterno).

Ovvietà #2

Le persone recluse conservano la titolarità di alcuni diritti: il diritto alla salute, il diritto al culto, il diritto alle relazioni familiari e affettive, il diritto allo studio. Per la precisione, istruzione e formazione sono trattati dall’ordinamento penitenziario anche come elementi del trattamento, ovvero come opportunità di rieducazione e risocializzazione.

Come nasce il progetto

In quest’ottica Pro.Digi è un progetto che punta a creare una seconda opportunità per queste persone, accompagnandole a maturare competenze digitali per la cittadinanza e l’inclusione, ma anche finalizzate al reinserimento lavorativo.
Per il suo carattere digitale il progetto è stato selezionato ed è sostenuto dal Fondo per la Repubblica Digitale, partnership tra pubblico e privato sociale (Governo e Associazione di fondazioni e di casse di risparmio) che si muove nell’ambito degli obiettivi di digitalizzazione previsti dal Pnrr e dal Pnc (il Piano nazionale per gli investimenti complementari, che integra con risorse nazionali i fondi del Pnrr) e il cui scopo è la transizione digitale del Paese. In via sperimentale per gli anni 2022-2026, il Fondo mette a disposizione fondi per circa 350 mila euro.

Dove, come, quanti

Attualmente in Emilia-Romagna sono in fase di formazione con Pro.Digi una quarantina di persone, inseriti in quattro percorsi attivi presso la sezione femminile del carcere di Bologna (11 persone), il carcere di Ferrara (9 persone), il carcere di Parma (10 persone) e la comunità terapeutica Casa Lodesana a Fidenza (alla seconda esperienza con 13 persone, dopo un primo corso con 9 partecipanti, 6 dei quali ora nella fase di tirocinio formativo). Il progetto è partito nel giugno dello scorso anno a Fidenza, per poi allargarsi agli altri luoghi citati (a Bologna da novembre scorso); è in cantiere anche l’apertura di un corso nel carcere di Reggio Emilia. Così come è finanziato, Pro.Digi coinvolgerà complessivamente 100 persone.

I primi corsisti formatisi a Fidenza.

Quale formazione?

Tecnicamente il progetto prevede la realizzazione all’interno delle strutture coinvolte di laboratori informatici dotati di pc, stazioni di ricarica e videoproiettore, con limitazioni dovute alle misure restrittive e di sicurezza proprie dei luoghi ospitanti; ad esempio in carcere non è possibile utilizzare internet per via del divieto di comunicazione con l’esterno, quindi viene utilizzato un software simulatore utile alla didattica (a differenza della comunità terapeutica dove sono in vigore regole diverse e internet è accessibile per un dato lasso di tempo).
Nei laboratori realizzati, la proposta di Pro.Digi prevede 165 ore di formazione digitale in presenza (60 di base, 60 avanzate e 45 di specialistica), alle quali si vanno a sommare 18 ore di laboratori di pro-attivazione di soft/life skills in gruppo, 10 ore di colloqui individuali per lo skills balance e 3 ore individuali di placement (in collaborazione con gli enti partner e le agenzie per il lavoro ad essi collegate). Fra le azioni concrete, Pro.Digi prevede di formare all’uso dei mezzi digitali (su tutti, computer e internet) ad esempio per la stesura del proprio curriculum, per la ricerca di un impiego, per il lavoro o altre attività da remoto).
Le lezioni sono svolte da formatori digitali esperti che, per il tempo del corso, mettono da parte alcune delle loro libertà in favore del progetto e dei corsisti (entrando in carcere, a contatto coi detenuti, anche i formatori devono seguire le regole di sicurezza del luogo – ad esempio lasciando fuori il cellulare per il tempo della permanenza).

L’obiettivo è l’inclusione

La formazione digitale proposta non è solo alfabetizzazione (per l’autonomia digitale e il reinserimento nel contesto civile e sociale), upskilling (per la crescita delle competenze digitali strategiche al fine della crescita professionale) e reskilling (per il raggiungimento del sapere digitale utile al collocamento lavorativo); il progetto è a tutti gli effetti uno strumento di cittadinanza e inclusione sociale.

Come spiega Cristiano Artioli del Ciofs, ente promotore del progetto insieme ad Aeca e Cefal, «Pro.Digi ha come fine anche quello di abbattere il pregiudizio nei confronti delle persone in esecuzione penale. La limitazione della libertà lascia un’etichetta difficile da togliere anche una volta scontata la pena, con rischi legati all’emotività della persona e alla recidività di incorrere nuovamente in reato. Il fine più alto del progetto è un’inclusione che sia vera e di tutti, non solo di chi deve reintegrarsi in società ma anche delle aziende private che possono scegliere di puntare su queste persone perché formate, anziché lasciare che siano esclusivamente le cooperative di tipo B le uniche a dare una seconda possibilità a chi ne ha comunque diritto».

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