di Federico Spagnoli
Cammino sotto il portico. Lui è lì.
Piove. L’acqua si mescola con il fango delle suole e imbeve il lastricato su cui ruotano talloni, poggiano punte, e si disperdono fazzoletti di carta, orfani di tasche e marsupi, troppo sottili e bagnati per farne delle barchette.
Eppure lui ci prova. Quando gliene capita uno a tiro, sospinto dal vento o dalla falcata di un impiegato in ritardo, si allunga dalla coperta stesa all’asciutto e lo afferra. Li conserva lì, al proprio fianco – li tiene con sé –, distesi sotto un piccolo libro che li sottrae ai furti delle correnti d’aria.
Cosa se ne fa di una collezione di fazzoletti bagnati?
Se ne resta lì, in attesa. Si materializza ad una certa ora del pomeriggio, distende la sua coperta per terra e posiziona il cappello davanti a sé, rivolgendolo verso l’alto. Sembra essere capace di due movimenti soltanto – e di un solo linguaggio – che conserva per la caduta delle monete all’interno del copricapo.
Ho capito questo.
Se la moneta è di scarso valore, lui annuisce, scrutando il suo benefattore con occhi profondi, e ringraziandolo a suon di palpebre calate e rialzate.
Per asciugarsi gli occhi, pensano tutti. Deve piangere molto.
Deve piangere molto.
Qui quello che piange sono io.
Il suo è un codice Morse – con quegli occhi – ma nessuno lo ha ancora capito.
Vi parla. Ci parla. O forse parla a me, ed a me soltanto.
La mia moneta quest’oggi è di grande valore – il più grande che c’è – e l’uomo esegue un inchino, accarezzando l’aria con un lieve gesto del capo.
Più è grande il valore, più ampio è il movimento.
Lo capite?
Lo capite che lui se ne sta lì tutto il giorno – tutti i giorni – seduto su una coperta stesa a terra a collezionare fazzoletti bagnati? E che aumentando il valore, ne si aumenta il movimento?.
Ecco tutto.
Ed eccole, le mie banconote – tutte quelle che ho –, che si immergono nel suo cappello.
E ora cosa fai?
Che cazzo fai?
Si alza – si alza – come se nulla fosse: lascia lì il cappello, il libro a salvaguardia dei fazzoletti bagnati, e la sua coperta. Nessuno se ne accorge. Nessuno lo vede.
Io lo seguo con gli occhi, per qualche metro, e poi con le gambe. Lo seguo con gli occhi, con le gambe, e poi anche col pensiero.
Dove cazzo va?
Si sposta oltre il mercato.
La piazza.
Il cantiere.
Si mette una mano in tasca, che seguendo il copione – il copione – dovrebbe essere vuota, e ne estrae un mazzo di chiavi.
Lo capite?
Lui percorre a piedi le vie di una città che non può conoscere, perché non si sposta mai, ed estrae dalla tasca le chiavi di una casa che non può avere, perché lui è… lui.
Lui è lui ed imbocca la via dove abito.
Lui è lui e si ferma davanti alla mia casa. Poi davanti alla mia porta. E poi entra.
Lui entra e fuori fa freddo, più freddo, più freddo di prima. Ed anche per me è ora di tornare a casa. È ora di tornare indietro. Verso il mio cappello, la mia coperta, ed i miei fazzoletti bagnati, protetti dal piccolo libro.
Per asciugarsi gli occhi, pensano tutti.
Devo piangere molto.
Questo lo penso io.