di Milena Monti
Di padri in figli, la lotta olimpica sembra essere uno sport che si tramanda di generazione in generazione. L’Unione Sportiva Imolese Lotta (Usil) ne è la prova vivente. Dal 1970, questa storica società tiene viva a Imola la passione e la tradizione della lotta.
Lotta olimpica, greco-romana, libera
Giusto per inquadrare il contesto sportivo, la lotta è una disciplina atletica di combattimento le cui origini possono essere fatte risalire fino a 15mila anni fa (come racconta la pittura rupestre francese). Prima facendo parte delle tradizioni babilonese ed egizia, è poi diventata celebre con gli antichi greci e gli antichi romani, civiltà che hanno dato il nome a uno dei due stili, quello greco-romano (l’altro è lo stile libero). È una fra le più antiche discipline olimpiche, presente fin dai primi giochi olimpici della Grecia precristiana insieme a corsa, pugilato e pentathlon (776 a.C. è la data dei primissimi giochi svoltisi a Olimpia).
I Minguzzi
Andrea Minguzzi è oro olimpionico a Pechino 2008, figlio di lottatore e a sua volta padre di piccoli lottatori. È cresciuto fra le società di Bubano (quella del padre Massimo Minguzzi, attivo negli anni Settanta) e di Faenza, prima di entrare nelle Fiamme Oro. Ha appeso le scarpette al chiodo nel 2017, dopo l’11° titolo italiano assoluto; oggi è allenatore di lotta giovanile nel gruppo sportivo Fiamme Oro Imola, dove si allenano i figli Edoardo e Gregorio.
«I miei primi ricordi nella lotta sono quelli dei giochi sulla materassina al seguito di mio padre che andava in palestra per allenarsi – racconta -. Piano piano il gioco è diventato allenamento, poi sport poi una carriera. La mia vita. Per questo io seguivo mio padre in palestra e a mia volta porto i miei figli: la lotta è la mia vita e anche uno sport adatto ai primi passi e ai primi insegnamenti motori, è propedeutico alla qualità di un atleta a tutto tondo; insegna a gestire tutte le situazioni fisiche, ad esempio a cadere, per questo è uno sport propedeutico ad altri, soprattutto se fatto in giovane età. Inoltre, essendo una disciplina antica, trasmette valori di umanità come il rispetto dell’avversario. A chi critica la lotta per il suo essere uno sport individuale, a confronto con quelli di squadra, dico che è vero, il confronto è individuale, ma tutto il lavoro che c’è dietro è lavoro di gruppo».
I Timoncini
Daigoro Timoncini vanta nel proprio curriculum sportivo ben 13 titoli italiani assoluti, risultati grazie ai quali ha partecipato a tre olimpiadi (Pechino, Londra, Rio de Janeiro); è figlio del lottatore Luigi Timoncini, che ha disputato l’ultima gara nel 1994, appena una settimana prima del debutto agonistico del figlio. Ritiratosi nel 2021, oggi Daigoro è allenatore Usil di lotta greco-romana e olimpica.
«Le basi della mia motricità sono merito della passione per la lotta di mio padre, che mi portava con sé a giocare in palestra, fare capriole e cose così. La lotta era un gioco che mi piaceva – ricorda – e che non ho mai lasciato anche perché presto, a nove anni, sono iniziate le prime soddisfazioni nelle gare. Cosa mi ha dato una vita nella lotta? Disciplina, a livello umano e fisico, valori profondi, e l’ambizione per fare le cose grandi che poi ho fatto, come partecipare a più olimpiadi. Tutto questo sottolineando che la lotta è uno sport povero, a differenza di altri sport, nel senso che non arricchisce gli atleti a livello economico. Ma arricchisce diversamente. Ho scritto anche un libro che ha a che fare proprio con la lotta, per lasciare traccia non tanto della mia vita quanto di quello che la lotta può dare: si intitola “Lo sport maestro di vita” e racconta come lo sport può insegnare ad affrontare la vita quotidiana attraverso l’esperienza mia e dei dottori Mirko Mazzoli, psicologo e psicoterapeuta, e Andrea Ceciliani; a fine libro ho raccolto le testimonianze di tutti i campioni olimpionici italiani di lotta. Credo sia un libro più che mai attuale oggi che la comunicazione fra le persone scarseggia ed è alienata da strumenti digitali: in questo contesto la lotta aiuta la socialità in quanto sport di contatto e educa l’aggressività che gli esperti dicono essere in cresciuta nel contesto moderno. La lotta è infatti un gioco innato nel bambino, prima nel letto con mamma e papà, poi al parco con gli amici; non è fare a botte ma qualcosa da educare come tutti gli altri aspetti legati alla crescita dell’individuo».
Valentina Minguzzi & Saverio Scaramuzzi
Valentina Minguzzi è la sorella di Andrea, quindi figlia di lottatore. Dieci volte campionessa italiana assoluta nonché plurimedagliata europea, oggi è allenatrice di lotta libera e lotta femminile per Usil. Saverio è atleta azzurro ai mondiali ed europei di lotta, nonché cinque volte campione italiano assoluto e allenatore Usil di lotta greco-romana, olimpica e giovanile. Insieme sono genitori di tre figli, uno dei quali – Leonardo, dieci anni – è già campione italiano.
«Forse per il fatto che oggi in Italia la lotta è uno sport poco praticato, allora chi la ama la promuove con i figli e cerca di farla amare – racconta Saverio –. Da allenatore, padre ed educatore so che è una disciplina che prepara fisicamente e non solo, allenando lo spirito sportivo attraverso il rispetto dell’avversario e l’imparare a perdere. Dal punto di vista della psicomotricità è completo, questo è il motivo per cui io ho iniziato da bambino con il classico corso di avviamento allo sport in una palestra dove si praticava anche la lotta, che poi mi ha affascinato e conquistato. Proprio per il suo essere uno sport che promuove la psicomotricità in toto, io e Valentina portiamo qui i nostri figli: Leonardo già compete con successo, Cecilia si allena e fa le gare per formare fisico e carattere ma pratica anche un altro sport».
«È così che è andata la mia vita nella lotta – racconta Valentina –: seguivo papà e giocavo, giocando imparavo e quello che ho imparato mi ha aiutata negli altri sport che ho praticato fino ai 15 anni, volley poi pattinaggio poi nuoto. Mi sono riavvicinata alla lotta solo da adolescente, ma quello che avevo imparato da piccola era ormai dentro di me, per sempre».