di Riccardo Olmi
Era il 1979 ed erano emergenti. A più di quarant’anni di distanza Arterie riapre i microfoni ai Metalvox che, dal 2020, si sono ritrovati per le mani le “pizze” originali (le bobine di nastro su cui si incidevano i dischi) del loro secondo album, mai distribuito, prodotto nel 1982 dalla Italian Records con Oderso Rubini.
Brush Bostik, Jee Joystick, Steve Kleber, aka Catello Di Carlo (batteria, synth e voci), Gianni Capra (chitarra elettrica, synth e voci), Stefano Paselli (basso, synth e voci), nascono di fatto nel contesto di un fenomeno culturale che ha caratterizzato la scena underground della Bologna di fine anni ‘70: “Bologna Rock, dalle cantine all’asfalto”.
«I Metalvox nascono su quel palco – racconta Stefano -, quando ai sintetizzatori c’era Marco Tubertini. Avevamo iniziato a provare insieme da appena sei settimane e già suonavamo davanti a 6mila persone, in Piazza Maggiore a Bologna, insieme a gruppi come Skiantos, Luti Chroma, Gaznevada, Wind Open, Bieki e altri».
Quelle “pizze” andate perdute
Tornando alle “pizze” ritrovate, la storia di come siano andate perdute ce la racconta Gianni.
«Oderso Rubini credeva fortemente nel nostro progetto e l’investimento sulla produzione del nostro disco era davvero importante, ma non infinito. Tutte le bobine con le registrazioni erano conservate in un magazzino che per delle forti piogge si allagò. Abbiamo dato per scontato che il lavoro fosse andato distrutto e la Italian Records non aveva di certo altri fondi per ristampare tutto l’album».
Ma il 10 gennaio 2020, Marco Tubertini invitò tutta la band al suo compleanno, annunciando una sorpresa speciale.
«Oltre alla torta e alle candeline al centro del tavolo spiccava una campana di vetro che conteneva tutte le pizze di cui il padre di Marco conservava una copia a nostra insaputa».
I nastri furono subito spediti a Londra per essere digitalizzati e, dal 2023, sono ascoltabili anche su tutte le piattaforme digitali.
Distopici, come i Devo
I Metalvox hanno un suono che si avvicina molto al post-punk e soprattutto alla new-wave con un repertorio di suoni elettronici davvero originale. La stessa “wave” la cavalcavano i Cure, i Joy Division, Tuxedomoon, ma soprattutto i Devo. Questa corrente artistica portava sul palco una visione devoluzionista dell’uomo (Devo da de-volution). Sul palco i Devo si muovevano come robot, per ironizzare sulla loro visione dell’uomo del futuro, che smette di evolversi per affidare tutti i suoi problemi alle macchine. Anche i Metalvox hanno condiviso questa profezia musicale e in alcuni brani hanno descritto le conseguenze, spesso drammatiche, di scelte (di consumo, filosofiche e artistiche) sulla società futura.
«Penso che quello che trasponevamo in parole e suoni 40 anni fa si sia realmente realizzato, purtroppo… – racconta Catello -. Per noi era una visione distopica del futuro, che volevamo esorcizzare con i nostri brani. Alcuni possono dire che era facile prevedere tutto questo, noi però lo abbiamo fatto davvero lasciandone traccia» (ride).
Canzoni come “Future World”, “Tv Hero”, “Self Made Man” o “Progress” ne sono la prova, tutte accomunate da atmosfere distopiche, voci filtrate e robotiche, riff di chitarra potenti, una sezione ritmica ossessiva ma dinamica e una scarica di incursioni elettroniche.
I sintetizzatori modulari
«Quando abbiamo iniziato a suonare, l’unico modo per creare suoni elettronici era utilizzare i sintetizzatori modulari – ricorda Stefano -, macchine complicate che servono per trasformare e modellare un suono. Marco sul palco era impassibile ma dietro alle sue tastiere staccava e attaccava connettori velocissimo e si assicurava che tutto fosse sincronizzato. All’epoca non c’era ancora modo di far andare tutti i moduli a tempo, bisognava “semplicemente” spingere i tasti giusti nel momento giusto».
Da qualche anno, con tutte le nuove tecnologie a disposizione i Metalvox sono tornati in sala prove con i loro brani e si stanno preparando per un ritorno sui palchi e nei club italiani.
«Recentemente ha iniziato a suonare con noi anche Mac, quarto componente del gruppo e computer portatile prodotto da Apple» – scherza Catello -. Grazie a lui i sequencer che non possiamo suonare dal vivo vengono eseguiti a tempo, e noi possiamo concentrarci sui nostri strumenti e sullo spettacolo».
Il meglio (nella musica) è adesso
I Metalvox sono sicuri che, nonostante le catastrofiche “profezie” avverate, il meglio (nella musica) sia adesso.
«Usiamo tutte le nuove tecnologie – spiega Gianni -, sono sicuramente ottimi strumenti per fare arte, ovviamente bisogna saperle usare correttamente. Da questo discorso è però esclusa l’intelligenza artificiale, che intelligenza non è. La musica è sempre stata bella, da secoli, e anche ora continuano ad uscire opere meravigliose, è solo più difficile farle emergere a causa dei monopoli delle grandi case discografiche e dei meccanismi con cui funzionano molte piattaforme digitali».
I Metalvox, dal nome a metà fra un fumetto surrealmente fantascientifico francese di fine anni ‘70 (“Métal Hurlant”) e le voci filtrate come quelle di un artista umanoide, hanno attraversato il tempo e lo spazio, restando veri e quindi underground, per arrivare sino a noi e contribuire con la loro musica alla creazione dell’utopia futura.
Non dimenticate di ascoltare il podcast (lo trovate QUI) realizzato in collaborazione con Emmerreci – Media Radio Castellana. Ci risentiamo in diretta su Emmerreci il mercoledì dalle 20 alle 21 con una nuova band.
La riscoperta delle “pizze” dei Metalvox e il loro ritorno musicale dimostrano come la musica possa viaggiare nel tempo, rimanendo fedele alla sua essenza e alla visione distopica che oggi risuona ancora attuale.