«Io non invento storie. Io racconto la vita facendo finta che sia inventata»

Le parole possono ferire, guarire, scuotere, sostenere. Sanno accogliere o respingere, creare distanze o avvicinare. A volte proteggono, altre disarmano. Hanno il potere di trattenere ciò che sfugge, di risvegliare qualcosa che avevamo dimenticato. Forse è per questo che Gabriella Pirazzini ha scelto di iniziare il suo nuovo libro con un’affermazione che somiglia a un avvertimento, ma anche a una promessa: «Le parole hanno un peso».

Così nasce “Dove non si parla di me”, una raccolta di racconti, edita da Giraldi, dove ogni storia è una finestra su un frammento di vita, a volte sospeso, altre lacerato, un po’ come “Lo strappo” in copertina, opera di Maurizio Cervellati.

Ci sono donne tradite, uomini che non riescono a decidere, madri incapaci di esserlo, ragazze che fuggono all’improvviso, persone che non sanno ascoltare. Ci sono Nina, Emma, Elisabetta, Nora, Georgina, Anna… Ci sono vite segnate da assenze, fratture, scelte difficili o mai compiute. Relazioni che si trascinano, si spezzano o non si compiono mai davvero, malattie che sconvolgono l’equilibrio del quotidiano, esistenze in cui il passato è più ingombrante del presente, in cui il futuro rimane in attesa.

I racconti sono brevi, asciutti, intensi. In ognuno si avverte il rispetto per ciò che viene raccontato, un’attenzione delicata verso il dolore, la perdita, il sogno infranto. Ogni parola è collocata nel punto giusto, ogni frase sembra scavata più che scritta. Si percepisce che l’autrice ascolta prima di parlare, non invade ma accompagna, affida al lettore lo spazio per sentire.

Dopo i romanzi “La misura” (2018), “Il ritardo” (2020) e “Le sovrapposizioni” (2023), editi sempre da Giraldi, la scrittrice imolese torna a scegliere la forma del racconto, come già aveva fatto in passato. «Amo ciò che si può dire con poco», scrive nell’introduzione.

Accanto ai racconti trovano spazio gli haiku di Maurizio Lesmi. Sono brevi pause sospese, piccole gocce di poesia, spesso in dialogo con la natura o con il tempo che passa, capaci di illuminare con pochi tratti una sensazione, un ricordo. Sono un modo per rallentare il respiro durante la lettura, per far sedimentare le emozioni, per osservare con occhi nuovi il dolore, la speranza, la bellezza.

Arrivati all’ultima pagina, come scrive Muriel Pavoni nella prefazione del libro, «sono le atmosfere quelle che restano impigliate ai ricordi». L’attesa infinita in una stanza d’albergo, una pausa al tavolino di un bar, una passeggiata tra le vie di una città, l’odore di una cucina, il profumo di un caffè, il freddo improvviso. Pur trattandosi di racconti autonomi, ciascuno con la propria ambientazione, voce e storia, si percepisce un filo invisibile che li lega, un’unità profonda che nasce dalle emozioni condivise: quelle che tutti, prima o poi, ci troviamo ad attraversare. È questo uno dei pregi del libro: la capacità di raccontare storie di vite diverse, ma di farle sentire tutte vicine al lettore, come se ciascuna custodisse qualcosa di familiare. Pirazzini, d’altronde, lo dice con chiarezza proprio all’inizio: «Io non invento storie. Io racconto la vita facendo finta che sia inventata».

Come accaduto per le precedenti pubblicazioni, anche nel caso di “Dove non si parla di me” i diritti d’autore saranno devoluti alla Fondazione Matteo Bagnaresi, sezione di Imola dedicata ad Alessia e Chiara, che mette a disposizione di bambini e ragazzi un servizio gratuito di dopo scuola.

Il libro sarà presentato venerdì 16 maggio alle 18 alla Bim di Imola. Gabriella Pirazzini e Maurizio Lesmi dialogheranno con Katia Dal Monte e Muriel Pavoni. A Luigi Tranchini saranno affidate le letture di alcuni passi del libro. Sarà presente anche l’autore dell’opera di copertina, Maurizio Cervellati.

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