Il sorprendente esordio narrativo di Federico Spagnoli

di Andrea Pagani

Una delle abilità più significative di un narratore consiste nello sperimentare l’esperienza della varietà, della molteplicità dei punti di vista, della capacità di osservare le situazioni da diverse prospettive a seconda di differenti personaggi, il che rappresenta, alla resa dei conti, il tentativo di uno sguardo sul mondo democratico e onnicomprensivo, profondo ed onesto.

È questa la scelta letteraria, molto coraggiosa e sorprendente (non solo per la sua felice riuscita, ma anche alla luce della giovanissima età del suo autore) del romanzo La famiglia Schmidt (ed Dialoghi) di Federico Spagnoli.

Ci troviamo così di fronte ad una singolare operazione di contaminazione di generi, pur tenendo come persistente linea conduttrice quella di uno stile fantasioso, creativo, a metà strada fra il surreale e l’immaginifico, il che non significa – si badi bene – indulgere a forme vaghe, astratte, confuse, perché – come ci insegnano i magisteri di Italo Calvino e Tommaso Landolfi, a cui molto probabilmente Spagnoli si ispira – la narrativa fantastica corrisponde ad esattezza, precisione, nitore del linguaggio.

La varietà dei punti di vista, nella Famiglia Schmidt, gioca anzitutto sul rapporto fra un protagonista (Hugo) ed un co-protagonista (Peter), rispettivamente nipotino e nonno, attorno a cui ruotano gli altri componenti di questa stravagante famiglia di Dresda, la madre, il padre, lo zio Helmut e la nonna Arla, anche se l’attenzione della vicenda si concentra su quelli che potremmo definire gli estremi generazionali del nucleo familiare, per l’appunto il nonno e il nipote, quasi a sottintendere uno dei temi portanti del romanzo, ossia il rapporto fra età diverse, momenti lontani, che nonostante la distanza trovano resistenti punti di convergenza e comprensione.

In effetti, nel gioco di straniamento, strambe sorprese e bizzarri colpi di scena, che si diverte a condurre Spagnoli, in una storia che non di rado assume connotazioni eccentriche e straordinarie, il divario maggiore è fra il piccolo protagonista Hugo e suo padre, Willard, che riconoscendo nel figlio una sorta di malattia («la capacità di vedere le cose per quello che sono»), obbliga il figlio a compiere una vacanza forzata lontano dalla famiglia e quindi costringendolo, in un isolamento coatto, a fare i conti con una dote così insolita da essere percepita non come una meravigliosa inclinazione, ma come un temibile disturbo.

Al lettore, dunque, come in ogni narrazione di potente forza inventiva, un po’ alla Flann O’Brien e alla Karel Čapek (il romanzo si apre, al terzo capitolo, con lo stravagante omicidio di un’anziana signora affogata in una pozzanghera, accogliendo peraltro, fra i vari generi, anche quello della detection), si chiede di abdicare da ogni pretesa di verosimiglianza e di lasciarsi invece condurre nel movimento vertiginoso dell’estro e dell’illusione, o meglio della simbologia.

Il fascino dell’affabulazione della Famiglia Schmidt – lo scopriamo ben presto – sta proprio in questa capacità di stupirci, ogni volta, in un gioco armonioso fra un stile accurato, sapiente, raffinato (con un uso esperto di analogie e metafore) e una riflessione su una grande varietà di temi (la fede, la maturazione, la relazione fra generazioni), ma senza assertive dichiarazioni o consolidate certezze, bensì in un’apertura verso l’illusione, il simbolo, la libertà interpretativa.

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2 commenti su “Il sorprendente esordio narrativo di Federico Spagnoli

  1. Grandissimo Federico! Ho il libro sul comodino e spero di riuscire a leggerlo presto ! Complimenti comunque per questo primo traguardo!

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