Il nuovo presidente della Delegazione imolese di Confindustria è Alessandro Curti, amministratore delegato della Curti Costruzioni Meccaniche Spa, il poliedrico gruppo industriale con sede a Castel Bolognese che spazia dal packaging all’automotive, dall’aeronautica all’economia circolare e che esporta le sue macchine nel mondo.
Curti, che nella provincia di Bologna è presidente della Cma di Toscanella, succede all’amministratore delegato della Aepi Industrie Srl Marco Gasparri, per 22 anni alla guida degli industriali dell’area imolese, dal 2011 come presidente della delegazione circondariale. Il nuovo vicepresidente dell’associazione è il co-fondatore e amministratore delegato della TeaPak Srl, Andrea Costa.
La nomina è avvenuta all’unanimità con voto segreto, segno del consenso raccolto dai nuovi vertici della rappresentanza imolese di Confindustria.

«Accolgo con gratitudine e senso di responsabilità questo incarico. Il Circondario Imolese ha un patrimonio imprenditoriale, educativo e sociale straordinario: la mia priorità sarà rafforzare i legami tra imprese, scuola e territorio con le proprie istituzioni, perché solo da questa rete nasce innovazione duratura e benessere condiviso. Ritengo vi sia una diffusa richiesta di momenti di socializzazione che aiutino gli imprenditori a conoscersi tra loro. In un tempo di grandi trasformazioni, tecnologiche, come ad esempio l’Intelligenza Artificiale, e geopolitiche, sento il dovere di rappresentare un’industria che guarda avanti, ma che non dimentica le proprie radici. Vogliamo essere protagonisti dello sviluppo sostenibile, investendo in giovani, in ricerca, e in una cultura d’impresa che crea valore per tutti», ha dichiarato il neopresidente della Delegazione Imolese di Confindustria.
All’assemblea che giovedì 29 maggio nella sala stampa dell’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola lo ha eletto per il prossimo quadriennio 2025-2029, Curti è andato dopo la recente consegna del premio “La Lucerna d’oro per arte, cultura e spettacolo 2025”, attribuitogli «per aver concretamente creduto nella connessione fra il mondo imprenditoriale e della cultura, in particolare sostenendo i giovani in ambito scolastico e formativo». Un tema, quello del nesso tra scuola, formazione, lavoro e impresa, che è divenuto sempre più cruciale per la coesione sociale e lo sviluppo del territorio.
Aziende e giovani, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, le competenze sempre più difficili da trovare e da mantenere. Ed è da qui che partiamo per la nostra intervista.
Curti, le aspettative e le richieste dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro sono cambiate rispetto a qualche anno fa. Attrarli, soprattutto se si tratta di figure tecniche, è diventato molto complicato.
«Ai giovani dobbiamo cercare di far capire che le aziende interessanti, in grado di dare loro un percorso lavorativo e di vita pieno di soddisfazioni, qui ci sono. Non serve andare all’estero. Come imprenditori dobbiamo cercare di farli star bene. A partire da un ambiente di lavoro favorevole, dall’umanità con cui si vive l’azienda. Loro devono essere curiosi, interessati, ma dall’altra parte occorre che l’azienda dia ai ragazzi la possibilità di crescere. E per crescere si deve avere la possibilità di sbagliare. Oggi sono sempre meno le aziende in cui si svolgono operazioni ripetitive, al dipendente viene chiesto di “metterci del suo”. Questo rende il lavoro più interessante ma richiede sacrificio. I giovani vogliono sentirsi parte proattiva del progetto».
Si parla spesso di “ecosistema formativo”, intendendo l’offerta di formazione come qualcosa di multiforme e di interconnesso (scuola superiore, corsi Its, Ifts, università). Come valuta il sistema formativo, anzi l’ecosistema formativo del territorio imolese?
«È buono ma si può fare meglio».
Si spieghi.
«La mia conoscenza diretta è più focalizzata sui diplomati tecnici, che sono pochi e sono il frutto di un sistema che a mio giudizio non valorizza e seleziona adeguatamente i percorsi tecnici. In questo ambito l’Emilia-Romagna è una delle regioni migliori, eppure il margine per fare di più c’è ancora. Il problema penso sia di respiro più ampio: manca cioè una vera integrazione tra scuola e famiglia. Bisogna lavorare di più insieme. Nessuna componente della società (famiglie, scuole, imprese, banche…) ce la può fare da sola. Per questo dico che ci vorrebbe un nuovo patto sociale sulla formazione».
Lei assume la guida della delegazione imolese di Confindustria in una fase estremamente complicata e per molti versi inedita dell’economia globale. Come se la passano le aziende del territorio?
«C’è chi pensa di andare a produrre negli Stati Uniti, così da evitare i dazi. Chi di andare in Iraq, ma i mercati più grandi continuano a essere Cina e Usa. L’incertezza è assoluta. Aspettiamo il 9 luglio… aspettiamo gli eventi. Anche perché quello che dici oggi domani può già non valere più. L’unica cosa che mi sento di dire con un buon grado di certezza è che la direzione deve essere sempre la stessa: fare bene, molto bene, le cose che fanno in pochi».
Il quadro è generalizzato?
«Ci sono delle aziende che hanno tanto lavoro, mentre altre, che magari operano nello stesso settore, che ne hanno poco. Da cosa dipende? Mi verrebbe da dire dai mercati a cui si rivolgono, più che dalla capacità delle imprese, perché aziende che hanno superato la crisi del 2008 e poi il Covid penso siano aziende robuste e capaci.
Nel caso della crisi della TracMec di Mordano determinante è il Paese del proprietario, in questo caso la multinazionale tedesca Bauer. Hanno deciso di spostare la produzione in Cina, dove i costi sono molto più bassi. Difficile convincerli che devono continuare a rimetterci. Qui i costi sono troppo alti: lavoro, energia… non so veramente come facciano le aziende energivore. Quello che occorre fare è creare le condizioni affinché sia conveniente continuare a lavorare in Italia. Anche perché non se la può cavare solo chi fa altissima tecnologia».
Con il mercato dell’auto in crisi, in Emilia-Romagna, e anche su questo territorio, si punta sull’aerospaziale?
«Ci sono delle iniziative, delle idee. Come siamo abituati qui, non si sta a guardare. Eppure, pensare di sostituire l’automotive con lo spazio, l’aeronautica e con l’industria degli armamenti non è possibile. Sono settori diversi con prodotti diversi, e per imparare a fare bene le cose in questi settori occorre del tempo. Ci vogliono imprenditori che investono sulle certificazioni, lo facciamo troppo poco, e in ogni caso non è “switch on/switch off”.
Di autovetture se ne producono poco meno di 80 milioni l’anno. Mentre Starlink, il sistema di comunicazione satellitare di Elon Musk, ha messo in orbita 7mila satelliti e vuole arrivare a 30mila. Parliamo del massimo sistema di satelliti, una battaglia che noi abbiamo già perso: lui fa tre lanci alla settimana, noi non abbiamo nemmeno i lanciatori. Detto ciò, è evidente come l’ordine di grandezza non sia paragonabile con l’industria dell’auto. E parliamo di oggetti che non costano più di un’auto. L’aeronautica ha numeri maggiori dello spazio, ma in ogni caso non arriverà mai a sostituire l’automobile. La scelta dell’Europa di puntare tutto sull’elettrico è stata un errore, ha affossato un settore intero e trainante senza ottenere benefici tangibili».
Lei è stato vicepresidente di Confindustria Emilia-Romagna, è consigliere di Confindustria Romagna eppure, pur essendo imolese e vivendo a Imola, non è mai stato impegnato attivamente nella delegazione imolese. C’è un motivo?
«Molto semplicemente perché l’azienda principale del gruppo è in provincia di Ravenna. Non ho accettato la candidatura alla presidenza a Ravenna e in Romagna, che mi sono state proposte in passato, perché li ritenevo incarichi troppo pesanti, soprattutto per motivi personali di lavoro. In particolare per la Romagna, dove era in atto un processo di fusione tra le tre associazioni romagnole piuttosto impegnativo. Ho pensato che Imola fosse meno impegnativa. Spero di non essermi sbagliato…».
Beh, questo lo vedrà presto. Cosa l’ha convinta ad accettare la proposta di guidare la delegazione imolese?
«Penso che ad un certo punto della vita sia necessario restituire quanto ricevuto e trasmettere l’esperienza acquisita. L’associazionismo l’ho vissuto, ci credo, ci ho sempre creduto. Sono stato presidente dei giovani imprenditori a Ravenna a 32 anni. Io sono per fare le cose insieme, avendo chiari gli obiettivi comuni. Per andare avanti insieme però bisogna avere la voglia di farlo. Fare l’imprenditore è un lavoro molto difficile, troppo, soprattutto se sei contoterzista, come accade per molte imprese del territorio. Per cui si finisce per essere concentrati solo sul proprio lavoro.
Nell’associazione mi piacerebbe creare un gruppo omogeneo e coeso, dove ci si possa se non altro confrontare, sapere come ciascuno di noi la pensa.
A Imola, per la sua storia, una forte presenza della cooperazione ha fatto sì che le aziende non cooperative siano poche e di piccole dimensioni. Belle aziende, niente da dire, persone e professionisti bravi e capaci, ma che fanno fatica a farsi ascoltare. Penso quindi che la rappresentatività sia fondamentale. Quello imolese è un territorio da 120mila persone e uno dei distretti più ricchi d’Italia. Non può non fare sentire la propria voce».
Come sarà impostato il rapporto con le altre associazioni? E con le istituzioni?
«Sarà un confronto che vuole portare tutte le associazioni ad agire assieme. Il quadruplicamento della ferrovia; i lavori, bloccati, del Passante di Bologna; le aree delle zone industriali per ampliarsi che non ci sono. Il sindaco di Imola Panieri è anche presidente del Circondario, è bravissimo, lavora tantissimo. Ma quello che ci sentiamo di dirgli è che mantenga una posizione determinata nei confronti di Bologna, che proponga e sostenga con forza ciò che chiedono le associazioni, le nostre imprese, i nostri cittadini. Diversamente, il rischio è che Bologna non consideri le nostre istanze che comunque hanno una natura e caratteristiche diverse da quelle del capoluogo».
