«L’importante è che nessuno dica che c’è qualcosa che non funziona!»

Dal 29 maggio scorso, dopo 23 anni alla guida degli industriali imolesi, Marco Gasparri (a destra nella foto) ha lasciato la presidenza della delegazione di Imola di Confindustria nelle mani di Alessandro Curti (a sinistra).
Un periodo lungo durante il quale l’associazione, che oggi associa 189 imprese, ha cambiato denominazione, statuto e anche confini geografici. Dalla nascita di Unindustria Bologna, nel 2007, alla fusione di Bologna, Modena e Ferrara, da cui nel 2016 sorse Confindustria Emilia Area Centro. «Ho partecipato a tutte le trasformazioni», ricorda Gasparri. Un periodo in cui anche il territorio imolese ha vissuto cambiamenti profondi, su cui Confindustria e il suo delegato hanno lasciato il segno.
Ecco, succede, perché succede, che quando si è concluso «un percorso impegnativo ma pieno di soddisfazioni», come lo definirà lo stesso Gasparri in questa intervista, e di cose significative se ne sono viste parecchie, si ha voglia di tirare le somme e di raccontare. Noi di Quo.d abbiamo avuto la fortuna di poter prendere nota di questo racconto e ora abbiamo l’ardire di scriverne. Buona lettura!

Gasparri, partiamo dalla fine, dall’ultima “gatta da pelare” che ha dovuto gestire come rappresentante delle imprese industriali di questo territorio, ossia la minacciata chiusura della TracMec di Mordano. Dopo più di un mese di stallo i licenziamenti sono rientrati e per i 45 lavoratori dell’azienda che sarebbero dovuti restare a casa sono stati attivati gli ammortizzatori sociali.

La TracMec doveva chiudere. Questo era lo scenario, complicato dal fatto che la proprietà era estera. E, diciamo la verità, malgrado le dichiarazioni rese quando tutto si è sbloccato affermino il contrario, la politica non ci cavava i piedi. Mi hanno chiamato anche dalla Regione. Beh, direi che se è andata come è andata il merito è in buona parte di Confindustria Imola e delle persone che ci lavorano.

Della politica se non le dispiace parliamo tra un attimo.

Dell’autoreferenzialità della politica.

Anche. Intanto le chiedo uno sforzo di memoria, qual è stato il momento più difficile in questi 23 anni?

È stato un percorso impegnativo ma pieno di soddisfazioni. Beh, la risposta è facile: gli ultimi sei anni, quelli del Covid e del post Covid. Vede, bisognava sostenere e recuperare un elemento fondamentale per chi fa impresa, cioè la fiducia in se stessi. In questo territorio c’erano 40-50 aziende che non se la passavano affatto bene. Fu molto complicato.
La cosa di cui vado particolarmente orgoglioso è che tra le nostre imprese non abbiamo avuto dissesti “strani”. È stata dura, non lo neghiamo. E so bene cosa vuol dire, dato che la mia azienda ha dovuto fare i conti con il dimezzamento del fatturato.
«Fate le scelte sapendo che potete e dovete ripartire», era quello che dicevamo alle imprese, il mantra. Sono andato in giro ad ascoltare e raccontare, ascoltare e raccontare. E alla fine quel momento è servito molto anche a me, credo di essere cresciuto come persona e come imprenditore.

Non tutte le organizzazioni territoriali, associazioni datoriali e sindacati hanno mantenuto una autonomia come è invece riuscito per Confindustria a Imola.

Posso rivelare un segreto: la frase “sono le autonomie che favoriscono le integrazioni”, che adesso dicono tutti, è mia e risale a quel tempo. All’epoca della fusione tra Api e Assindustria la contrattazione fu forte e noi, facendo leva sulla sulla legge regionale che diede vita al Circondario Imolese, riuscimmo a far sì che Imola avesse un proprio presidente, un vice, un comitato territoriale e un’autonomia economica da Bologna. Anche perché avevamo appena inaugurato la nuova sede… non potevamo lasciarla vuota. Nel 2006 sono successe delle cose molto importanti. Innanzitutto abbiamo trovato Federica Pirani, persona preziosa con cui abbiamo condiviso questo percorso. Sempre disponibile, un enorme valore umano e professionale, e con una grande capacità di risolvere i problemi.
Oltre a gestire il proprio territorio, il presidente della delegazione imolese fa poi parte della giunta di presidenza di Bologna, un organismo che mi ha aiutato tantissimo.

In che modo?

Innanzitutto a capire che non tutto ciò che si faceva su Bologna poteva andare bene su Imola. Sono realtà che avevano e hanno ancora una fisionomia diversa.

Diversa?

Imola non potevi gestirla in maniera asettica, “confindustriale”, dovevi avere una gestione più passionale, partecipata, essere presente, ascoltare. Ecco, l’ascolto è stata la cosa che ci ha caratterizzato di più. Mi fa piacere che Alessandro Curti abbia detto “sono pronto alla sfida”. Perché questa è effettivamente una sfida: portare alla periferia imolese quello che succede nella centralità di Bologna. Noi siamo il trattino tra Emilia e Romagna e le frizioni culturali ci sono, sia da un lato che dall’altro. Ad esempio, a Bologna non puoi andare dall’imprenditore e parlargli in dialetto.

Negli anni che anche per lei sono stati i più difficili, il territorio imolese ha vissuto un periodo particolare: la sindaca Manuela Sangiorgi si dimette nell’ottobre del 2019, il Comune di Imola è commissariato.

La politica era quasi assente. Venivamo da 18 mesi in cui si è tentato di azzerare tutto, pur di non fare come aveva fatto il sindaco precedente, Daniele Manca, a cui era stato attribuito completamente il disastro della sconfitta con la Sangiorgi, dimenticandosi invece le fratture interne al partitone, le fazioni, i nuovi rampanti… A me dissero che uno come Daniele Montroni, un ex presidente del Conami, un ex onorevole, un uomo con una forte esperienza sia gestionale che amministrativa era troppo vecchio… Mah.

Lei però sostenne la candidatura di Marco Panieri.

Sì, Marco Panieri l’ho sostenuto, perché sapevo da dove veniva, i valori che aveva, era giovane. Bene. Io non ce l’ho con Marco Panieri, ma con chi lo ha voluto così. L’errore è stato affidarsi a persone che hanno costruito la propria immagine con i social e con le promesse. Nel mio mondo se oggi fai una promessa a qualcuno e non la mantieni, tra cinque anni te la rinfaccia.
Per vincere le elezioni era la persona giusta… Poi venivamo da un altro Covid.

Prego?

Il “Covid Sangiorgi”. Fortunatamente il Covid “politico”, contrariamente al virus sanitario, non ha fatto morti. Ma ha comunque prodotto una serie di anticorpi all’interno dell’apparato politico da sempre dominante, per cui bisognava per forza compiacere, raccontarsi che tutto va bene. E a forza di dircelo abbiamo finito per crederci. L’importante è che nessuno dica che c’è qualcosa che non funziona!
Questo però alla fine genera tre criticità che rischiano di avere degli effetti negativi di lungo periodo. La prima è che avendo una percezione errata della realtà non si colgono i problemi da risolvere; poi se i problemi sfuggono di mano ci si va dietro alla meno peggio come è accaduto con Area Blu. Il secondo effetto nefasto è che per i ruoli chiave si vanno a scegliere uomini e donne che come principale caratteristica devono avere quella di non disturbare. Terzo, non si riconosce quanto di buono è fatto dagli altri, solo perché è farina che non è uscita dal nostro sacco.

Parliamo di Confindustria e del rapporto con i sindacati. A memoria di giornalista possiamo dire che questo territorio negli ultimi 20 anni non ha vissuto grandi situazioni al calor bianco.

I miei rapporti veri, intensi, con le organizzazioni sindacali risalgono a Balducci padre (il figlio Gianmaria è il presidente della Cefla), a Sauro Dal Pane, Pino Rago, un grandissimo Paolo Liverani… persone con cui avevo un rapporto splendido: coltellate alle spalle non ne ho mai prese. Sapevano che io c’ero sempre e che avevo una visione “diversa” rispetto ad altri rappresentanti delle imprese, perché io sono convinto che una azienda sana sia un vantaggio per tutti, anche per i sindacati. Imola non ha mai avuto situazioni di conflitto perché l’obiettivo condiviso da tutte le persone era trovare una soluzione ai problemi. È accaduto così anche quando l’azienda coinvolta era la mia. Per me il rapporto con queste persone, che erano persone vere, con una visione chiara, non “esattori da cedolino”, è stato un grande momento formativo.

E oggi?

Oggi delle persone come quelle che citavo ci sono ancora, non tutte, ma il sindacato è cambiato molto.

La sua associazione e lei in prima persona siete stati impegnati nel tentativo di trovare un equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, che su questo territorio ha sempre sofferto della carenza di figure tecnico-industriali, di “camici azzurri”, come li chiamava lei. Sulla formazione si è fatto tanto e i risultati si vedono eppure non tutto è andato come speravate.

Ad esempio il fallimento totale degli Lto, i Laboratori per l’occupabilità. Che abbiamo fortemente voluto su Imola e sostenuto con 290mila euro di finanziamento da parte delle aziende e 750mila euro di contributi dal Miur, con la creazione di laboratori meravigliosamente belli ma praticamente quasi mai utilizzati. La classica situazione in cui si capisce la differenza tra una scuola gestita da qualcuno a cui interessa un obiettivo e una scuola gestita da chi è interessato ad altro o che deve scontrarsi con una struttura interna che vuole “farne il meno possibile”. E questo nonostante avessimo creato un ecosistema formativo importante, con tutta l’offerta possibile di scuole superiori, un collegamento fortissimo con l’università, le lauree professionalizzanti. All’epoca nacque Officina Digitale, che aveva, tra gli altri, l’obiettivo di portare in giro questo ecosistema, questo modello. Il ministro Bianchi ci disse: “Siete stati bravi, avete vinto 19 viaggi premio per portarlo in giro nelle altre regioni!”.

Lei è impegnato in prima persona anche nella fondazione che al Montecatone Rehabilitation Institute sostiene l’attività e le iniziative per far conoscere e funzionare quella struttura ospedaliera. Una eccellenza medica nazionale che però fatica a trovare una propria stabilizzazione in grado di metterne al sicuro il futuro.

Ci risiamo: questione di promesse non mantenute.
Quello che non vedo è un disegno strategico, e parlo in generale, della sanità locale. Vedo un assessore dotato di buona volontà, che è Pierangelo Raffini, che cerca di fare cose nuove e interessanti, ma non vedo una regia.
Così come non vedo un disegno strategico sui 500 milioni di patrimonio del Conami. Da imprenditore quel patrimonio io lo spezzerei in due e la metà lo investirei per farlo fruttare.

E invece?

È stata una delle migliori intuizioni che abbiamo avuto e potrebbe fare ben altro per questo territorio! E non ce l’ho con il suo attuale presidente. Bisognava fare un piano strategico sulle partecipate, domandarsi “cosa mi aspetto da quelle società? Cosa voglio da questo territorio?”. Nebbia. Tanto è vero che si andrà a una Conferenza economica, forse, a cinque anni dall’elezione del sindaco. Forse. Il Conami poteva avere un ruolo nella sanità, sulla creazione di posti di lavoro tramite società miste pubblico-privato, in conformità con la legge Madia. Il modello dell’Ospedale di Montecatone non poteva essere replicato?! Ci provò Stefano Manara con il Fondo strategico territoriale, per accompagnare e accelerare le start-up…
Invece, e torniamo all’inizio, forse ci si è preoccupati più di non perturbare il clima che di creare sviluppo. Ti nasce Officina Digitale con dentro le migliori aziende imolesi e tu prendi la cosa come un fastidio solo perché non è nata da te?! Così perdi le occasioni e perdi le persone che hanno voglia di fare.
Se l’ordine di scuderia è che i problemi non devono varcare il Sillaro non si fa il bene del territorio, neanche a livello istituzionale.

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