di Milena Monti
Lavoro e felicità sono parole che vengono affiancate sempre più spesso, ma non ancora abbastanza, almeno a sentire le richieste e le aspettative dei lavoratori più giovani raccolte dai dati che racconteremo più avanti nell’articolo.
Dati a parte, un numero ristretto ma lentamente in crescita di realtà lavorative sta prendendo coscienza di questo cambio di rotta e si sta di conseguenza adeguando. I motivi sono molteplici e scientificamente provati: i lavoratori felici sono più produttivi, creativi e collaborativi, sono persone più sane (ovvero diminuisce il costo per la sanità) e – ultimo ma non ultimo – tendono a non abbandonare il loro posto di lavoro per cercare un nuovo impiego.
È a partire da questi motivi che Cims, storica cooperativa intersettoriale di Sassoleone (costruzioni, manutenzione del verde, edilizia, infrastrutture, impianti e global service), ha deciso di interrogarsi e agire. Coinvolgendo direttamente tutto il personale.
Il contesto generale
Fino a qualche anno fa lavoro e felicità non venivano pensati nella reciproca unione, anzi. Si considerava il primo – cioè il lavoro – più importante della seconda: era (ed è) un diritto, un dovere, ciò che nobilita l’uomo, ciò che è necessario per vivere; la felicità non era tenuta in conto, non sul lavoro.
Ma oggi è in atto una vera e propria rivoluzione culturale guidata, come spesso avviene, dalle nuove generazioni, in particolare Millennials e Gen Z (i nati fra il 1980 e il 1994 i primi, tra la metà degli anni ’90 e i primi anni del 2010 i secondi). Sono di fatto i nativi digitali, cresciuti in un mondo instabile e veloce ma anche ricco di possibilità.
Come racconta il “Barometro della felicità” dell’associazione RicercaFelicità che da cinque anni fotografa l’Italia che lavora, le nuove generazioni hanno nuove esigenze: il contratto non basta, il luogo di lavoro deve essere uno spazio in cui riconoscersi e crescere. In questo contesto il welfare aziendale è considerato parte integrante non solo della retribuzione ma più in generale della soddisfazione lavorativa. Welfare che però, sempre stando ai dati del Barometro 2025, non può essere solo un pacchetto di benefit ma deve mettere al centro i cicli di vita del lavoratore, i suoi bisogni reali, le relazioni, la flessibilità e il supporto alla vita personale.
Il contesto Cims
Per la natura della cooperativa, nata nel 1975 per rispondere all’esigenza di dare lavoro ai piccoli proprietari terrieri così da garantire loro una continuità lavorativa per tutto l’anno attraverso i molteplici servizi offerti, Cims considera i propri lavoratori come un vero e proprio bene dell’azienda – in termini di valore, non di proprietà.
Con quello che si può chiamare un moderno esempio di leadership generativa, che supera l’efficacia produttiva per prendersi cura delle persone, delle relazioni e della qualità del clima aziendale, il consiglio di amministrazione di Cims ha recentemente istituito un “comitato welfare” allo scopo di migliorare l’offerta di welfare aziendale già in campo e la sua comunicazione ai differenti rami aziendali.
«Cims conta cinque settori molto diversi fra loro con percezioni interne differenti – contestualizza il direttore generale Massimiliano Baroncini -. Il personale è suddiviso in tre contratti collettivi nazionali che rispettiamo (edilizia, multiservizi, agricoltura e verde) cui si aggiungono gli addendum ove non previsti, ad esempio garantiamo buoni pasto e rimborsi per le trasferte anche a chi non le ha da contratto nazionale. L’azienda inoltre eroga welfare da sempre, e in occasione della recente relazione sul bilancio di sostenibilità ci siamo accorti che facciamo tanto, ogni anno di più, ma non lo sapevamo esattamente né noi né i dipendenti – scherza, dicendo comunque una verità -. Inoltre ci interessava interrogarci sul nostro numero di sostituzioni medio annuo, ovvero quante persone lasciano Cims ogni anno per le più disparate ragioni, dal pensionamento a una scelta differente (il numero è circa 50, nda): formare persone che poi scelgono di lasciare l’azienda è per noi un costo da abbattere oltre che un fatto culturale, vista la nostra storia. Da queste consapevolezze è nata l’idea di comunicare meglio quello che offriamo ai lavoratori e, anzi, fare di più: mettere a sistema il welfare aziendale. Come? Creando un gruppo di lavoro per coinvolgere a cascata tutto il resto dell’azienda, raccogliere i desiderata reali e cercare di rispondere alle richieste concrete».
Cims: cooperativa intersettoriale montana Sassoleone
Per inquadrare brevemente ma correttamente la cooperativa, è necessario sapere che Cims ha un organico di 311 persone fra operai (circa il 75% della forza lavoro totale) e impiegati divisi nei cinque settori in cui opera l’azienda: edilizia, infrastrutture, impianti, servizi e verde. Cims ha un fatturato medio annuale tra i 50 e i 60 milioni di euro. L’edilizia rappresenta il 50% del fatturato; il settore infrastrutture produce circa 8 milioni/anno; il settore servizi tra i 14 e i 16; il verde 3 milioni; gli impianti producono il restante fatturato. (QUI abbiamo raccontato il restauro che Cims sta realizzando alla Rocca di Imola e QUI il bilancio 2023). Nonostante abbia appena compiuto 50 anni, Cims è un’azienda abbastanza giovane, con un’età media dei dipendenti di 44 anni.
Il comitato Welfare di Cims
Sono quattro le persone incaricate dal consiglio di amministrazione di lavorare al “nuovo” welfare aziendale. Come detto, interrogando direttamente tutto il personale attraverso un questionario per raccogliere la percezione del welfare presente e i desiderata futuri. Si tratta di Micaela Pifferi, Antonella Mammone, Marco Gini e Jonathan Acciuffi; con 38 anni la prima, 35 la seconda, 31 il terzo e 26 l’ultimo, hanno tutti un’età inferiore alla media aziendale. E questo «per una precisa scelta», precisa Baroncini. Da notare che si tratta di due donne e due uomini.

«Abbiamo raccolto i dati con un questionario anonimo a cui ha partecipato oltre l’80% dei dipendenti e stiamo elaborando i dati da presentare a direzione e cda – spiega Micaela Pifferi -. Successivamente si potrà definire il budget sulla base dei progetti attivi e di interesse e dei nuovi desiderata, ove possibile. Siamo felici del riscontro costruttivo che abbiamo registrato e che ha fatto emergere le esigenze, le idee e i desideri dei soci. Qualche esempio? Voucher per le spese carburante, agevolazione per la richiesta di mutui immobiliari, agevolazioni per attività ludico-sportiva e per il benessere fisico».
«In generale è emerso un desiderio diffuso di stare bene in azienda più che di guadagnare o risparmiare di più – aggiunge Antonella Mammone -. Per quanto riguarda le sedi sono emerse infatti anche richieste di dispenser di acqua per le borracce, punti per la raccolta differenziata, un angolo ricreativo dove poter consumare pasti cucinati a casa, la possibilità di un servizio di consegna di frutta e verdura a km0».
«Abbiamo chiesto anche una valutazione sul lavoro in sé e come poterlo migliorare – continua Jonathan Acciuffi – e abbiamo raccolto una serie di informazioni attente e precise, ora da processare e far valere».
«Siamo stati particolarmente attenti ad aggiungere al questionario anche delle domande aperte, dove “sì” e “no” non erano sufficienti – conclude Marco Gini – e siamo entusiasti della quantità di idee raccolte grazie al coinvolgimento diretto di tutti».
Lavoratori che stanno bene fanno stare bene l’azienda
Parallelamente al percorso per la definizione del nuovo welfare aziendale con cui far star bene i lavoratori, Cims sta lavorando anche a un percorso di formazione dedicata a tutti i lavoratori per approfondire temi come welfare e wellbeing, burnout, comunicazione efficace. «L’idea è quella di creare una sorta di cassetta degli attrezzi per il benessere del lavoratore, qualcosa di cui oggigiorno tutti abbiamo la necessità – conclude Baroncini -. C’è bisogno di una nuova cultura del lavoro».
Eccezionale! Aziende come voi contribuiscono al bene comune