Il Baccanale all’olio e la crescita record dell’olivicoltura imolese

Sarà l’olio il protagonista dell’edizione 2024 del Baccanale. E, dobbiamo dirlo, un po’ c’era da aspettarselo.

Infatti la crescita in qualità e in quantità delle produzioni olearie delle colline imolesi e, nell’ottobre scorso, l’ingresso nell’Associazione nazionale Città dell’Olio avevano, come si dice facendo ricorso ad un’immagine legata all’agricoltura, preparato il terreno.

La coltivazione dell’ulivo è dunque giunta alla giusta maturità per potere reggere il palco della principale manifestazione enogastronomica imolese, che quest’anno si terrà dal 19 ottobre al 10 novembre, con un’anteprima primaverile dal 24 al 26 maggio.

Il tema attorno a cui verrà costruito come da tradizione il calendario degli appuntamenti e pensati e preparati i menu proposti dai ristoranti sarà “Un filo d’olio”.

Una storia antica come il mondo

L’olio, in particolar modo quello di oliva (ma non solo) accompagna la nostra cultura gastronomica da millenni. La storia dell’ulivo e delle sue caratteristiche è profondamente legata a quella dell’umanità, in cui storia e mitologia si intrecciano strettamente, fino a confondersi.

L’olio da sempre non è soltanto un ingrediente, e porta con sé significati simbolici e religiosi: simbolo di fertilità e rinascita, di resistenza alle ingiurie del tempo, di pace e di valore. È l’alimento principe della dieta mediterranea.

Si può quasi affermare che le radici della civiltà mediterranea siano quelle degli ulivi che da millenni la nutrono, sottolineando quindi un legame di continuità con il Baccanale “mediterraneo” del 2023.

L’olivicoltura nelle nostre colline è cresciuta molto negli ultimi anni, e questo ha inciso notevolmente , in positivo, anche sul paesaggio. Riportando l’aspetto e il fascino delle colline come indietro nel tempo.

La presenza della pianta di olivo, nel territorio che ha come riferimento le prime colline a ridosso della costa adriatica romagnola (attuali province di Rimini e Forlì-Cesena), ha infatti radici molto lontane che sembrano risalire all’età villanoviana.

L’affermarsi della coltura è stato favorito nei secoli dal clima, in queste aree più temperato rispetto ai territori più a nord della Romagna che risentono di un clima più rigido e tipicamente padano. Il comprensorio brisighellese, in provincia di Ravenna, e alcuni limitati territori collinari della provincia di Bologna rappresentano le uniche eccezioni più a nord, per il loro particolare microclima adatto alla coltura.

Gli eventi bellici, le gelate del 1956, 1985 e 1996 e la diffusione delle coltivazioni estensive tra gli anni ’70 e gli anni ’80 del secolo scorso portarono a una progressiva scomparsa dell’olivo sul territorio regionale. I nuovi impianti realizzati nell’ultimo ventennio (1988-2008), hanno consentito un significativo recupero delle superfici olivicole scomparse nel recente passato.

Un patrimonio economico e ambientale

L’Emilia Romagna conta una superficie coltivata con questa coltura di 4.300 ettari (dato Istat 2022), un patrimonio olivicolo importante, sia sul piano economico che sul piano paesaggistico e ambientale, di cui il 10% nella provincia di Bologna.

Le principali varietà presenti sono: Correggiolo, Leccino, Rossina (o Selvatico) a Rimini e Forlì-Cesena; Nostrana, Ghiacciola e Colombina nella zona di Brisighella (Ravenna). Mentre due sono le Dop di olio extra vergine di oliva prodotto in Emilia-Romagna che hanno ottenuto il riconoscimento di denominazione di origine protetta: la Dop “Brisighella” e la Dop “Colline di Romagna”.

Le aree geografiche di riferimento e più importanti per la coltivazione dell’olivo in regione sono: le valli dei fiumi Marecchia, Marano e Conca in provincia di Rimini, le valli del Rubicone, del Savio, del Bidente e del Montone in provincia di Forlì-Cesena e le valli del Senio e del Lamone in provincia di Ravenna.

Ma negli anni più recenti, la ricomparsa della coltura dell’olivo è stata forte in particolare nelle aree collinari dell’imolese e del bolognese, dove le produzioni hanno raggiunto dei livelli di qualità da far invidia a territori con una più lunga e consolidata tradizione.

Basta dare un’occhiata ai dati di produzione relativi all’attività del Frantoio Valsanterno. Dai 500 quintali di olive lavorate nel 2019 che hanno prodotto 70 quintali di olio, si è passati ai 5.186 quintali di olive lavorate, con oltre 710 quintali di olio ottenuto e 450 clienti nel 2022.

Nel 2023 sono stati 7 gli oli extravergine dell’Emilia-Romagna che hanno ottenuto le Tre foglie della guida Oli d’Italia del Gambero Rosso, il massimo riconoscimento di qualità. Tra di essi, il “Monte di Nola 2022″ dell’imolese Frantoio Valsanterno, il “Vargnano Monocultivar Nostrana di Brisighella 2022″ prodotto da Palazzo di Varignana, sulle colline di Castel San Pietro Terme. Questo a dimostrazione del valore raggiunto dalle produzioni locali.

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